venerdì 8 febbraio 2008

Articolo da La Stampa del 6 febbraio 2008

Missionaria in Bolivia con la Liguria sempre nel cuore
di Marina Beltrame

Lo scorso dicembre il Comune le ha assegnato il premio «Pietrese dell’anno» per il suo impegno umanitario in Bolivia. Antonietta Potente, teologa nata 49 anni fa a Pietra, - «vicino al mare» come ama sottolineare - fa parte dell’Unione Suore Domenicane San Tommaso d’Aquino e da tempo vive in Bolivia, in una comunità aperta dalla sua congregazione. Una scelta di partecipazione nata durante gli anni della docenza universitaria a Roma e a Firenze, alimentata, forse, anche da una «certa inquietudine» dovuta alla percezione «che la teologia si stava pian piano chiudendo nei suoi spazi: seminari, facoltà teologiche, gruppi ecclesiali».

«Sentivo che essere teologa e fare teologia non poteva chiudermi in un ghetto di privilegiati. - racconta - Sentivo che c’erano aspetti della vita e di Dio che non avevo ancora scoperto e che era importante chiederne ad altri: ad altre culture, ad altri contesti storici, ad altre categorie di persone, soprattutto a quelle categorie ancora ‘’inedite’’ alla storia ufficiale».

«La congregazione delle Suore Domenicane di San Tommaso d’Aquino è stato un importante spazio di crescita e di intuizioni. - prosegue - Credo che ogni essere umano, quando matura nella sua affettività e nella sua capacità di pensare, diventi capace di dedicarsi alla ‘’vita’’ e nella vita ci sono gli altri, la natura con le sue risorse e anche le cose. Non considero ‘’gli altri’’ come dei ‘’bisognosi’’ che aspettano il mio aiuto, ma considero la realtà, la storia, gli avvenimenti con i loro soggetti, come veri e propri interlocutori. E’ una passione cresciuta tra i ‘’parti’’ della mia maturità umana: quelli della mia fede, delle mie ricerche e, soprattutto, dei miei incontri».

Dopo gli studi a Roma, Antonietta Potente si è occupata di pace e di giustizia: «Ho vissuto nella capitale quando nel dibattito politico si discuteva il disarmo, la presenza delle basi americane sul territorio italiano e quando nel mondo si vivevano differenti rivoluzioni, che chiamerei mistico -politiche, visto che non furono solo rivoluzioni armate: Nicaragua, Filippine, la caduta del regime dei Bianchi in Sud Africa, la Guerra del Golfo. Roma é luogo di ambasciate e questo facilitava il nostro impegno: sit-in, volantinaggi, marce, scioperi della fame di intere settimane davanti a Montecitorio. Questo non mi distraeva dal mio impegno come docente universitaria, che nel frattempo svolgevo anche a Firenze, e come lettrice e interprete del Mistero». In quegli anni conosce l’Africa (Uganda e Mozambico), frequenta il Centro interconfessionale per la pace, «punto d’incontro fondamentale per le diverse confessioni e religioni», partecipa a Budapest ad un congresso tra le diverse confessioni cristiane di tutto il mondo, dove la teologia si confronta sui temi della giustizia e della pace, conosce grandi esponenti della teologia europea (Jürgen Moltman), latino-americana (Enrique Dussel) e asiatica (Tissa Balasuriya) e interviene sul tema della pace e delle donne. «Un universo della diversità che mi affascinò. Furono esperienze che segnarono moltissimo la mia vita di giovane teologa».

La sua congregazione, già presente in America Latina, facilitò il contatto con quel continente. «Durante la prima visita rimasi in Argentina 5 mesi. Rimasi profondamente inquieta, ma anche profondamente affascinata. Fu un nuovo innamoramento e questo fece sì che si allargassero le prospettive e anche gli spazi». In seguito si trasferì in Bolivia. «Dopo i primi quattro anni, ebbi la possibilità di allargare lo spazio classico della ‘’vita religiosa’’, cioé della vita comunitaria con le altre suore. Nel ‘98 mi fu data la possibilità di fare comunità con una famiglia Aymara in una zona Quechua (Cochabamba). La mia teologia aveva bisogno di confrontarsi con un contesto vero e reale, in cui condividere tutto: i beni, l’economia, i frutti del lavoro, gli spazi nella casa. A questo nostro stare insieme demmo anche un nome: ‘’Sumaj Causay Wasy’’, la ‘’Casa del Buon Vivere’’. Ormai sono 10 anni che viviamo insieme». Alcuni membri della comunità hanno dato vita ad un progetto che coinvolge più di 300 donne e che mira, attraverso un percorso di formazione, prevenzione e presa di coscienza, a risolvere i problemi di salute di donne e bambini, a diffondere l’alfabetizzazione e a cercare fonti alternative di sussistenza economica.

(da La Stampa di mercoledì 6 febbraio 2008, cronaca di Savona, pag. 58)