lunedì 7 gennaio 2008

20/ Una spiritualità della liberazione - Torino 21/11/07

Appunti per una spiritualità della liberazione.
di Antonietta Potente


Vi ringrazio per avermi invitato a condividere queste idee e questo tema. Ascolteremo un canto latinoamericano che parla di alcuni dei temi centrali della mia riflessione. Spero, dopo il mio intervento, in uno scambio con voi e le vostre riflessioni perché questi sono temi che possono cambiare sfumature in rapporto ai contesti storici che viviamo per cui, probabilmente, io li leggi dal punto di vista dell’esperienza e del contesto storico dove vivo, che mi ispira. Voi conoscete altri contesti e potrete ritradurre questi temi nella vostra riflessione.

Corazon libre

di Rafael Amor (cantata da Mercedes Sosa)

Te han sitiado corazón y esperan tu renuncia,
los únicos vencidos corazón, son los que no luchan.
No los dejes corazón que maten la alegría,
remienda con un sueño corazón, tus alas malheridas.

No te entregues corazón libre, no te entregues.
No te entregues corazón libre, no te entregues.

Y recuerda corazón, la infancia sin fronteras,
el tacto de la vida corazón, carne de primaveras.
Se equivocan corazón, con frágiles cadenas,
más viento que raíces corazón, destrózalas y vuela.

No te entregues corazón libre, no te entregues.
No te entregues corazón libre, no te entregues.

No los oigas corazón, que sus voces no te aturdan,
serás cómplice y esclavo corazón, si es que los escuchas.
Adelante corazón, sin miedo a la derrota,
durar, no es estar vivo corazón, vivir es otra cosa.

Traduzione italiana:

Ti hanno occupato cuore e sperano nella tua rinuncia,
Gli unici vinti, o cuore, sono quelli che non lottano.
Non lasciare, o cuore che uccidano l’allegria,
ricuci con un sogno, o cuore, le tue ali ferite,.

Non ti arrendere, cuore libero, non ti arrendere.
Non ti arrendere, o cuore libero, non ti arrendere.

E ricorda l’infanzia senza frontiera.
Il tatto della vita, pelle di primavera.
Si sbagliano, o cuore, con fragili catene,
più vento che radici, distruggili e vola.

Non ascoltarli, o cuore, perché le loro voci non ti confondano,
sarai complice e schiavo, o cuore, se li ascolti.
Avanti, o cuore, senza paura e scoraggiamento,
durare non è restare vivo, vivere è un’altra cosa.


Il tema che mi avete proposto è molto ampio e difficile da trattare in pochi minuti. Cercherò, quindi, di dire qualcosa assumendo un punto di vista, un criterio di lettura, una mia ermeneutica, una mia interpretazione. Le interpretazioni possono essere tantissime e soprattutto più ci avviciniamo ai contesti storici reali e più queste provocazioni storiche ci porteranno ad interpretare questo tema anche in modi differenti.

Vorrei riprendere questi due grandi blocchi, queste due grandi parole, che poi sono parti molto importanti della nostra storia. Il tema della spiritualità e anche il tema della liberazione. Anche se credo che questi due temi vadano compresi insieme, essi infatti non sono due temi separati, probabilmente parlando di uno scopriamo anche l’altro. Ciascuno di questi due temi coinvolge la storia, la vita, gli individui, i popoli, le culture, e anche – come vedremo – la stessa creazione.

Per questo è necessario scegliere un punto di vista, per far sì che questi temi non siano solo retorica. In modo da non tradire i contesti concreti della nostra vita e della vita degli altri. Da parte mia non vorrei perdere nessun dettaglio, nessuna sfumatura che questi temi ci offrono, che la storia ci offre.

Riferendomi al contesto in cui io mi muovo normalmente potrei parlare utilizzando questi due grandi termini, spiritualità e liberazione, con una metodologia o con un’ermeneutica specifica della spiritualità e della teologia della liberazione. Per affrontare la vastità di questo tema volutamente scelgo una lettura esistenziale.

Se abbiamo un diritto a parlare di spiritualità e di liberazione è perché viviamo ed è perché la storia vive, i popoli vivono, le culture vivono. In questa storia esistenziale ci stiamo tutti: c’è la storia di noi come individui, con tutte queste sottili vivenze storiche, con tutte queste vite che si intrecciano; c’è tutta la parte della nostra vita che è la vita politica, affettiva, sociale, le nostre lotte per poter continuare a vivere in questa società; e poi le esistenze dei nostri popoli, dei contesti socio-politici che senza saperlo ci segnano profondamente.

Parlare di questi temi dal punto di vista esistenziale non risolve la vastità del problema. Lascio però il problema aperto, volutamente. Mi sembra importante scoprire fin dove vogliamo parlare di queste cose, e anche scoprire perché vogliamo parlarne. Qual è il nostro interesse, le nostre inquietudini che ci provocano ancore l’interesse a parlare di spiritualità, e di spiritualità della liberazione.

Quasi sempre i grandi temi della vita non nascono dalle teorie, ma nascono dalle esperienze, da questi contatti reali con la storia, per cui se voi avete scelto queste problematiche è perché probabilmente la vostra esperienza con la storia attuale vi porta a domandarvi di queste cose. Per lasciare questa possibilità di intervento, per fa sì che ciascuno si senta invitato ad intervenire sul tema e a fare la propria ermeneutica vorrei soffermarmi su quella che è un po’ la storia di questi due elementi: spiritualità e liberazione.

La spiritualità, così come la liberazione, ha una storia, un punto di inizio. Dietro alla spiritualità c’è tutta la vitalità dello Spirito e dietro alla liberazione c’è tutto il sogno della libertà. Certamente questi due temi, spirito-spiritualità e libertà-liberazione, evocano delle inquietudini, probabilmente dovremmo dirci cosa intendiamo con essi. Questi aspetti li cogliamo dai parti storici, dalle dinamiche della vita, dell’umanità, della creazione e credo che per trattare questi temi il primo passo è uscire da tutti i pregiudizi ideologici, istituzionali; che chiudono i temi, e li confinano solo ad alcune appartenenze. Cioè si pensa che la spiritualità appartenga solo alle religioni, e la liberazione, da un punto di vista anche soteriologico, appartenga solo a questi grandi messaggi delle religioni: qui si chiude il discorso. Bisogna uscire da questi criteri puramente ideologici, dai pregiudizi, essi infatti non appartengono solo a certe categorie, questi sono temi sono terribilmente laici: appartengono ai popoli, a tutte le culture, a tutte le persone e i gruppi umani che ancora cercano e che devono affrontare la vita. Questa è una premessa importantissima. Spiritualità e liberazione non sono solo i temi dei credenti, della fede, ma sono i temi storici dove dall’esperienza di fede, dall’appartenenza ad una comunità credente può nascere una certa interpretazione, però non sono temi di proprietà privata di nessuno in questa storia. Probabilmente proprio in questo consiste la difficoltà, perché quando noi li consideriamo di proprietà privata di alcune ideologie e di alcune esperienze religiose già chiudiamo il discorso. Trattare questa problematica diventa, così, ancora più difficile.

Si tratta di inquietudini storiche che appartengono all’umanità e al cosmo, che fanno parta della storia senza distinzioni di appartenenze, appartenenze che hanno solo avuto la funzione di interpretare e di dare dei contributi su queste problematiche. Però nessuna appartenenza può dire tutto nella storia. Come non mai, nella storia attuale, postmoderna, questi due temi rivendicano la propria laicità. E in questo senso lo Spirito non evoca solo ciò che è religioso, ma evoca realmente ciò che è storico e umano oltre che cosmico. Lo Spirito evoca tutta l’inquietudine della realtà, la sfida di oggi è: come raccogliere queste inquietudini nelle nostre storie, anche personali? Sono due temi che invitano gli individui ad allargare la mentalità, ci chiedono di aprirci, di salire, di uscire dalle nostre semplici problematiche individualistiche. Proprio la spiritualità nasce come critica, o come sospetto, alla morale, come diceva anche Nietzsche, intesa come un’origine a priori della storia. La spiritualità, quando nelle società e nelle culture comincia a farsi spazio, o rivendica uno spazio, o spinge, è perché nasce come una critica alla dottrina e alla morale che si impone come unica origine del comportamento umano, come qualcosa che sta a priori e che l’essere umano deve imparare.

Se ripercorriamo la storia questo è avvenuto tantissime volte, tutte le volte che dei gruppi umani rivendicano lo spirito, non solo nelle istituzioni religiose ma anche nelle istituzioni sociali e politiche. Questo avviene perché rivendicano il diritto alla dignità. Un aspetto questo importantissimo, che abbiamo visto già in altri momenti storici, e credo che in questo momento storico stia avvenendo lo stesso. Questo bisogno di ricuperare l’interiorità intesa, non come intimismo, ma come spazio dove l’essere umano ri-crea qualcosa, e si sente a casa. Questo è tipico del nostro mondo e nasce lì dove incominciamo a sospettare un po’ di questi a priori che esistono o che ci fanno pensare che esistono prima di noi.

Se seguissimo quest’eco storico arriveremmo a riscoprire l’eco delle Scritture. Quando diciamo che noi non vogliamo appropriarci di questi temi solo come i temi delle religioni o delle fedi, in realtà affermiamo che se riuscissimo davvero a riscoprire l’umano di questi temi, l’inquietudine di questi temi nella storia, arriveremo a capire in modo differente le religioni. Per cui non è dimenticarci delle religioni, o dimenticarci dell’umano, per riscoprire la vera spiritualità, ma anzi, riscoprendo, entrando sempre di più in questo umano più quotidiano, arriviamo a reinterpretare le Scritture.

Probabilmente questa era stata la metodologia della spiritualità della liberazione in America Latina. Il contesto storico così forte portava la teologia a reinterpretare le Scritture, la tradizione e la dottrina. Un itinerario profondamente interessante che non mette la laicità contro la religione ma che mette queste due grandi sensibilità alla pari. Il problema è che noi invece, non vogliamo stare alla pari: vogliamo che la religione abbia il sopravvento sulla laicità, ma questo è falso perché se davvero la storia riuscisse a fare il percorso della laicità, dell’umanità, della creazione, come è avvenuto in altre culture o in altri momenti storici, si arriverebbe alla spiritualità più profonda, all’anima della religiosità, ma noi ci muoviamo sempre in queste grandi diffidenze o sospetti.

Dal punto di vista teologico nelle Scritture c’è stato un itinerario. Purtroppo nella dottrina, soprattutto nella teologia occidentale, siamo arrivati a personalizzare troppo lo Spirito, a ipostatizzare, a considerarlo come persona divina e abbiamo saltato tutto questo itinerario di avvicinamento e di comprensione alla realtà storica e a tutta la realtà cosmica, non solo degli esseri umani, ma di tutto il cosmo. Questo Spirito identificato come persona divina, prima di tutto era identificato come la respirazione di Dio (Esodo 15,10), o come una presenza che agitava gli alberi, che scuote e trascina il grano (Isaia), una presenza cosmica ma anche una presenza nell’antropologia umana, una aspirazione della vita, che se si perde e abbandona la storia muore (Sal 78, 104). Il principio di questo Spirito, anche nelle Scritture, sfugge. Questo aspetto è bellissimo, quando si dice che “non si sa da dove viene e dove va”, diremmo che questa qualità dello Spirito ci protegge da ogni arroganza, da ogni indottrinamento, da ogni moralismo, perché ci sfugge il principio (l’arché) e ci sospinge più lontano, probabilmente ci da il gusto della liberazione come solidarietà tra Dio e la storia.

Questa solidarietà le Scritture la identificano con il Verbo, dicendo che lo Spirito, semplicemente, abita la storia. Ed è per questo che la storia, anche nell’esperienza delle comunità cristiane, diventa avvenimento, non solo una piatta ricorrenza cronologica, ma un avvenimento.

Il poeta messicano, premio nobel per la letteratura nel 1991, Octavio Paz parlava di un presente che si muove tra evoluzione, rivoluzione e rivelazione. Questa è la storia secondo lo Spirito: un processo evolutivo dove noi riconosciamo nella storia la sua autonomia, i suoi dinamismi interiori, segreti, invisibili; dove riconosciamo queste iniziative che irrompono nella storia. La rivoluzione intesa, non solo come dinamismo storico di rottura, ma come la capacità dell’umanità, dei popoli, della mente umana, nella sua inquietudine di rivoltare le cose, rivoluzionarle e darle un’altra posizione dentro la storia. Questi due elementi, l’evoluzione e la rivoluzione, che nella prospettiva dei credenti non sono dei momenti qualunque ma sono momenti rivelativi, con tutto quello che questo termine significa, che non è la chiarezza delle cose e degli avvenimenti ma è, probabilmente, una scintilla di luce che poi torna di nuovo a coprirsi nella quotidianità della storia; che porta noi esseri umani a stare attenti a questa realtà e a non tradirla, non smettere di stare in questa vigilanza costante che poi è l’atteggiamento che ci piacerebbe tanto avere: l’atteggiamento profetico, ovvero la capacità di guardare costantemente la storia, di leggerla, ed entrare in queste rivoluzioni ed evoluzioni storiche per poter vedere la storia in un altro modo, in questa dialettica tra laicità e religione, scoprendo misticamente dei lineamenti differenti del mistero.

Probabilmente quello che noi non riusciamo a fare nella storia, che la teologia non riesce a restituire all’umanità, ai popoli e alle persone comuni, è precisamente questo desiderio di ritrovare l’iniziativa e quindi di avvicinarsi, questo osare avvicinarsi alla storia con sempre più creatività. Da troppo tempo abbiamo diviso la storia dal mistero in una dicotomia così assoluta per cui il mistero segue il suo cammino e la storia segue un altro cammino e questo ci rende quasi come immaturi, o ci fa sentire tali, di fronte a tutto quello che questo mistero ci vorrebbe dire. Siamo diffidenti di fronte al mistero e non prendiamo l’iniziativa. Abbiamo paura, un certo tipo di morale, un certo tipo di dottrina ci hanno marcato e segnato con la paura, dicendoci che il mistero non si può toccare.

Questo si deve anche ad un ermeneutica particolare, perché la teologia è sempre stata fatta da delle persone con un ruolo particolare nella comunità credente. La sacerdotalità della teologia, che ha bisogno di mediatori, questo non è parte della spiritualità. La spiritualità restituisce questa iniziativa agli esseri umani, e dice loro che si possono avvicinare al mistero. Sentiamo il Vangelo così vivo spiritualmente perché i gesti di Gesù, il suo modo di vita, ci fa pensare che il mistero si è avvicinato alla storia e che quindi rimette in movimento tra i suoi contemporanei questa speranza di poter toccare il mistero. Ma poi lungo la storia, tante volte, noi ci siamo di nuovo riappropriati del mistero: la teologia, certe categorie di persone addette ai lavori nell’ambito della comunità credente, si sono appropriate di questo mistero e ancora una volta noi rimaniamo attoniti.

A volte parlando con alcune persone in America Latina ti senti dire: “tu sei suora, tu sei prete, voi siete più vicini a Dio”, questo discorso è solo un discorso di ruoli, che è stato portato avanti nella società e non solo negli ambiti semplici. C’è stata tutta una dottrina che ha costruito questo tipo di immagine secondo cui il mistero non si può toccare, eppure anche noi, in una religione come la nostra, dove il mistero dell’incarnazione aveva cercato di rompere questo schema, siamo ritornati di nuovo a questa prospettiva. Non osiamo prendere iniziativa nella storia. E se non prendiamo iniziativa con il mistero finiamo per non prendere iniziativa neanche nella storia. La passività con Dio è anche la passività etica nei momenti storici più importanti. Le istituzioni religiose e politiche fanno di tutto affinché non si prenda iniziativa. Anche in queste grandi ideologie politiche e sociali, che ci potevano dare delle ispirazioni, quando cominciano a diventare ideologie a priori, che sanno già tutto... Sartre aveva intuito che alcune ideologie fondamentali potevano aiutare la storia, però quando incominciò a vedere che anche queste ideologie davano tutto per scontato e dettavano tutto a priori e gli altri dovevano solamente obbedire, cominciò a diventare critico.

In questo momento storico c’è bisogno di riscoprire questa spiritualità della liberazione nel senso del poter, un’altra volta, allargare gli spazi. Questo noi lo possiamo fare, la teologia lo può fare, se restituisce una nuova immagine del mistero che non è lontano. Nessuno può dire che io non mi posso avvicinare o che non posso interpretare o prendere questa iniziativa nella storia, nella realtà.

Nell’ambito della prospettiva occidentale è stato fatto un danno abbastanza grave, cosa che forse nella prospettiva teologica dell’oriente cristiano è stato meno incidente, la teologia occidentale ha reso tutta la riflessione troppo antropocentrica, il Cristo antropos, specchio dell’essere umano, questo ha atrofizzato tutto il resto, l’iniziativa per poter scoprire Dio anche in un altro modo. La tradizione orientale, invece, ha lasciato più spazio al Cristo cosmico per cui la contemplazione si potrebbe dare passando per la natura, per gli elementi segreti della natura. Noi dobbiamo recuperare questo aspetto. Una volta silenziato lo Spirito si è silenziata la storia. Le possibilità alternative che le storia ha, si è silenziato il mistero perché tutte le volte che noi sappiamo tutto si chiude qualcosa per cui non possiamo continuare in questo senso restando solo tra di noi nella realtà.

Adesso credo che quello che ci insegna, o ci evoca lo Spirito lungo le comprensioni storiche e anche lungo la tradizione scritta, la tradizione biblica, credo che quello che lo spirito insegna è, come dice Paolo, la diversità, il mistero degli altri, il mistero dell’alterità. Ma ci insegna anche il segreto, il silenzio degli avvenimenti, ci insegna ad assicurare la libertà degli esseri umani, degli animali, degli elementi fisici e chimici e ci insegna la ricerca, il discernimento, le scelte, il linguaggio alternativo.

Lo Spirito ci insegna il linguaggio del genere, il linguaggio interculturale, interreligioso, l’esigenza di rendere le azioni nuove in tutti gli ambiti storici. Lo Spirito ci insegna dei tentativi di vita, ci sveglia, sono tentativi etico-mistici dove impariamo a stare nella storia. Nella tradizione ebraica un leggenda dice che nella creazione l’essere umano aveva solo un compito, doveva compiere solo una fatica: imparare a conoscere le piante e gli animali. La spiritualità è questo compito, è questa fatica: imparare a conoscere per poter imparare ad abitare nella storia. È un compito, una fatica che dura nel tempo, non è una cosa che si impara una volta per tutte, o che diventa un modo di vita dettato da certe norme. Si impara nelle relazioni, ascoltando e ricercando costantemente il mistero, nella vicinanza con l’umanità. La spiritualità della liberazione io la leggo, soprattutto in questo momento, come la rivendicazione più bella dei diritti delle persone, delle cose, del cosmo.