lunedì 7 gennaio 2008

7/ Echi di mondi lontani - 16/5/06

Echi spirituali e politici di mondi lontani
di Antonietta Potente

Il titolo del canto che ora ascolteremo è “Il cammino delle comunità aymara e quechua”. È un canto dove, io credo, si fa teologia, perché si parla di Dio e della storia. Questo Dio ha differenti volti, e questo ci può introdurre nel nostro tema. Vorrei che questa non fosse solo una conferenza, ma anche un momento di scambio per aiutarci a vivere. Ci sono varie forme per aiutarci a vivere e una è quella di scambiarci delle idee, dei pensieri, dei sogni, delle intuizioni. Questo è un momento propizio per farlo, anche se a volte sembra che parlare di queste cose non sia una novità. Ma noi non siamo qui per dire delle novità, ma per aiutarci a vivere bene.

Canto (Leon Gieco)
Ruta del coya

Dios sol, Dios agua
que cae del cielo gris al alma
Viento que arrastra voces que no se quieren ir
Rio que se llevò sangre, barro y paja por sueňos

Dios sal, Dios lagrimas
Un horizonte en cruz en Jama
Allà bien alto, donde el metal no alcanza,
crecen tus alas, nieve quieta y naciente el alba

Dios luz, Dios luna
Un campo de estrellas, altura…
Rosa de estos vientos en America inmolada
Ruta del coya, rabia de siglos en marcha

Dios paz, Dios guerra
Le dan sepoltura en tierra
Van reclamandole una primavera por nacer
Muerte y salvacion por el camino del angel

Dios da, Dio quita
Le cuesta ver donde està la herida
Nunca hubo un lugar
Donde se la pueda preguntar


Questa sera cercheremo di allargare, allungare e fare più grandi i circoli della nostra vita. Noi ci aiutiamo anche quando accogliamo idee che ci vengono da altre parti del mondo e per questo motivo ho pensato che ci possiamo incontrare attorno agli echi storici, concreti, che ci stanno venendo da altre sapienze e da altri contesti sociopolitici.

Sono necessarie però alcune premesse per condividere il linguaggio.
In questi ultimi anni, nelle mie riflessioni, io uso spesso due termini che mi accompagnano per aiutarmi a capire: il termine ‘mistica’ e il termine ‘politica’. In realtà non credo che siano due aspetti differenti: potremmo scambiare tutta la forza di questi due termini per imparare a vivere in un altro modo. Non è una novità sentire che oggi si parla di mistica dell’economia, di mistica del lavoro, di mistica in tutti i differenti campi e quindi anche nell’ambito politico. Come mi piacerebbe rivitalizzare questi termini per aiutarci a vivere oggi e non per piangere o per lamentarci che la mistica sia assente. Vi spiego cosa intendo, insieme ad altre persone, quando uso questi due termini.

Considero la mistica come un’esperienza cosciente delle dimensioni storiche, personali e collettive più profonde. La mistica fa parte della storia, che però bisognerebbe considerare in altro modo includendovi aspetti meno conosciuti e più inediti che fanno parte della realtà. Mi riferisco alla mistica come a un’esperienza esistenziale del mistero. Il mistero intuito come la profondità della vita. Alcuni quando parlano della mistica dicono che è la dimensione ultima. Io credo che sia vero, però non ultima verso l’alto, ma verso il basso, ultima perché è la possibilità che abbiamo di toccare più dentro possibile nella vita delle persone, negli avvenimenti storici, negli avvenimenti di una comunità credente, nello scambio della fede. Dobbiamo imparare a toccare queste dimensioni per poter vivere in un altro modo. Dico che è un’esperienza esistenziale per evitare un significato puramente teorico. E’ esistenziale perché serve per vivere, per trovare altri modi di vita, altri modi per costruire relazioni.
Ma il mistero non è solo la dimensione ultima verso il basso, ma è anche – e qui seguo la tradizione più classica – l’esperienza di qualcosa che non si può semplicemente dire: la radice del termine greco ‘mus’ significa infatti ‘mantenere le labbra chiuse’. Sappiamo infatti che il linguaggio è insufficiente. Io ho sempre più l’idea (può darsi che mi sbagli) che quando noi diciamo qualcosa sulla storia nostra e degli altri, il linguaggio risulta insufficiente e forse è meglio restare silenziosi. E credo che in questo restare silenziosi si salvi qualcosa. Io non credo che la predicazione consista nel dire delle parole (anche se dicendo così vado contro il mio carisma di domenicana), perché non credo che le parole salvino le persone. Il silenzio è quello che ci permette di sentire le dimensioni più profonde della storia degli altri, della nostra storia: Dovremmo parlare solo per accompagnarci a fare più silenzio.

Se percepisco la mistica come un’esperienza del vissuto di ciascuno, è chiaro che l’avvicino al termine ‘politica’. Credo che sia necessario far entrare questa logica della dimensione più profonda nell’ambito della politica. Come intendo questo termine ‘politica’? Come la dimensione collettiva, comunitaria, la dimensione d’insieme della nostra vita: una responsabilità e una maturità nel circolo della vita. E’ la dimensione dove si giocano le differenze di tutti i soggetti che sono nella vita, riconosciuti o no, e che fanno parte di questo circolo che è vitale. In questo momento storico io credo che bisogna imparare a riorganizzarsi in circoli. E non mi riferisco a realtà come l’Azione Cattolica (queste cose non le conosco), ma mi riferisco a una posizione circolare tra pari che dobbiamo cominciare a riscoprire. Forse l’abbiamo vissuta o ne abbiamo avuto l’intuizione, ma spesso qualcosa ci ha impedito di metterci realmente in questa posizione circolare. Invece credo che ora sia urgente, perché la vita circola e può continuare ad essere vita se circola.

Di per sé, credo che la divisione tra questi due termini, politica e mistica, si debba a una mentalità, a certe interpretazioni della storia che li hanno tenuti separati; volontariamente separati, proprio per rompere il circolo della vita e disporla tutta gerarchicamente. Se si vuole organizzare la vita per gradi, occorre rompere il circolo e ordinare le cose in un altro modo, separando questi due termini.
In questo momento storico questi due termini potrebbero rappresentare l’ispirazione per vivere in un altro modo: riprendere confidenza con la politica nel senso ampio della vita d’insieme, degli insiemi storici, degli insiemi istituzionali, avendo questa tensione profonda, vivendo questa dimensione interiore.

Cosa ci autorizza oggi a parlare di queste cose, di mistica, di politica, della storia, delle sapienze e delle etiche dei popoli, cioè di comportamenti differenti dentro la storia?

Io sento sempre di più che non possiamo parlare invano. Sappiamo che per parlare dobbiamo avere un mandato, ma non da qualcuno che pensa di darci un ordine. Cosa ci autorizza a stare qui, cosa ci autorizza ancora a fare politica, in Italia dove si è vissuto un parto difficile (e continuano i dolori del parto), in Bolivia dove c’è stato un parto difficile ma bello e adesso siamo felici, non ingenuamente, perché abbiamo dei motivi per stare contenti intorno al frutto del parto? Cosa davvero cerchiamo stando qui e scambiandoci questi sogni, queste idee, se non vogliamo perdere tempo in discorsi oziosi?

Non vorrei che il nostro tema “ascoltare echi di mondi lontani”, fosse semplicemente la risposta al desiderio di avere notizia di ciò che accade in altre parti del mondo. Notizie di questo tipo ne avete moltissime, più di quelle che abbiamo noi che viviamo in quelle parti del mondo. Se poi voleste davvero percepire che cosa sta succedendo là, dovreste invitare una persona che appartiene per sangue a quelle terre, paesi e popoli.

Vorrei invece che ci aiutassimo a fare una lettura più profonda e a interpretare questo spazio storico che ci circonda tutti e tutte e che anche a voi tocca vivere, seppure in modo diverso. Quasi sempre in questi ultimi anni ci hanno insegnato che ciò che ci tocca di più sono le leggi economiche e sociali, dettate da gruppi privilegiati oligarchici, politici, finanziari, transnazionali. Io penso che oggi intravediamo qualcosa di diverso (se lo vogliamo vedere): nel mondo ufficiale, con le sue leggi e i suoi perversi equilibri, sento che esiste un altro movimento che, anche se sottile, si sta espandendo, facendo entrare in crisi il sistema internazionale, che non riesce a reprimerlo. Ci sono quantità immense di persone che si muovono da un mondo all’altro e questo flusso non si può più fermare. Credo che non si tratti solo di una migrazione e di uno spiazzamento fisico, si stanno movendo le sapienze e le religioni, e forse ancor più le fedi di queste persone. Non è semplicemente un movimento che possiamo ostinarci a leggere solo dal punto di vista economico, anche se certamente l’economia mondiale, il modello neo-liberale di alcuni paesi lo ha provocato, come mito o come possibilità reale di vita. Per alcuni popoli può essere un mito venire in Europa o andare nel Nord America e per molti popoli non si tratta di un mito, ma di una questione di vita o di morte.

E’ un movimento mondiale che a me piace chiamare (non è un’invenzione mia, l’ho intuito leggendo un libro di Antonio Negri) ‘nuovo nomadismo’. Chi sogna da tanti anni una storia differente deve imparare a leggere questo nuovo nomadismo. Credo infatti che questo sia il punto comune in questo momento storico. Non abbiamo in comune solo i progetti tra Nord e Sud del mondo, o le idee di pace e di giustizia condivise dai movimenti sociali dal Nord al Sud, dall’Est all’Ovest: quello che abbiamo in comune oggi è questo grande nomadismo di persone che si muovono, non come molti dicono senza un motivo, ma con un motivo molto concreto che per questo a molta gente dà fastidio: è il movimento del diritto a vivere e a costruire un altro tipo di vita. Senza saperlo, oppure sapendolo, cambiano il movimento della storia, perché ci costringeranno a vivere in un altro modo, costringeranno le politiche a essere diverse.

Mi prendo la responsabilità di interpretare questo fenomeno come teologa, cioè dalla prospettiva su cui lavoro di più. Credo che noi abbiamo il diritto di parlare o d’incontrarci intorno a questi temi e questo diritto ce lo dà la nostra fede. Fede intesa come sensibilità e dialogo con Qualcosa che è inesprimibile, fede intesa come le dimensioni silenziose della vita e della storia, ma anche fede intesa come ricerca alternativa, speranza verso ciò che possiamo ancora costruire e scoprire nella storia, nelle nostre storie personali, nelle storie degli altri. Questa fede ci dà il diritto, anzi ci obbliga a rileggere la vita e gli avvenimenti storici, a causa delle migrazioni costanti dei popoli, delle idee, delle sapienze, delle culture, delle religioni. Adesso c’è un imperativo che ci obbliga con urgenza, non solo perché i popoli che ricevono questi flussi di persone devono ripensare le leggi interne dei loro paesi, ma perché questo fenomeno mette in discussione gli organismi mondiali.

Sento anche che in questo momento storico, mentre gli ambiti politici, volenti o nolenti, sono obbligati ad affrontare questa problematica, le religioni sfuggono. Le più statiche in questo movimento sono le religioni, perché politicamente è necessario muoversi: la destra o la sinistra, i fondamentalisti o i non fondamentalisti, i pacifisti o i non pacifisti si debbono svegliare per ripensare un posto per noi e per gli altri nella società. Mentre le religioni, intese come sistematizzazioni dottrinali, quale più e quale meno, sembrano refrattarie a considerare questi problemi. Allora io, come teologa, sento che dobbiamo pensarli e non solo le teologhe o i teologi, ma tutte le persone di fede. Non possiamo semplicemente entrare nel gioco assistenziale verso le nuove persone che arrivano da altre parti del mondo. La fede ci chiede ancora una volta di osare di più. Dobbiamo chiedere alle religioni di entrare in questa nuova sapienza della storia: ciascuno dal suo punto di vista e di esperienza della fede deve chiedere alla sua religione, ai suoi gruppi di riconoscimento o di appartenenza come leggono questa dimensione attuale della storia. Ma non sotto il profilo dottrinale, ma esistenziale. Il punto forte è che non stiamo parlando con le teorie: incontriamo gente concreta, parliamo con gente concreta. La stessa cultura ci sta arrivando, non secondo schemi teorici o come modelli esistenziali, ma attraverso persone concrete, che rivendicano l’elementare diritto alla vita. Direi che davanti a questi fenomeni della storia attuale c’è un imperativo etico profondamente eloquente, al quale dobbiamo rispondere.

Questa storia provoca delle risposte. Possono essere risposte superficiali, paurose, di fuga o di nuove divisioni, però noi dobbiamo lasciarci coinvolgere e vedere come entriamo in tutto questo. Si tratta di un imperativo non solo etico, ma anche estetico. Dico estetico nel senso che questo imperativo ci chiede di pensare a come ri-situarci di fronte alle situazioni urgenti della vita, ma anche a come ri-situarci di fronte al mistero, al silenzio, a ciò che la storia emana non solo come necessità, ma anche come bellezza. Credo che dobbiamo ri-situarci in questi fenomeni postmoderni della nostra filosofia intesa come amore alla sapienza o amore alla bellezza. Dobbiamo ri-situare il pensiero, perché le politiche non cambiano semplicemente a causa di leggi nuove, ma per un pensiero differente. Dobbiamo pensare in un altro modo. Nella spiritualità cristiana abbiamo sempre parlato della conversione come se fosse una cosa che non appartiene al pensiero. Invece credo che la conversione più difficile sia quella della testa, della mentalità. E’ urgente, spiritualmente parlando, convertire le mentalità e ri-situarci filosoficamente. La domanda è: qual è il mio amore a una sapienza di cui ho appena notizia? Come mi situo in questa sapienza, con quale atteggiamento?

Io sono sicura che la maggioranza di voi, sentendo che avremmo parlato di echi politici e spirituali di mondi lontani, ha pensato che avrei parlato della situazione della Bolivia e di Evo Morales. E invece no. Ne parleremo poi, se ci sono domande, non c’è nessun problema, io sono molto contenta, la maggioranza di noi è molto contenta. Però gli echi lontani sono qualcosa di diverso. Io credo che il Primo Mondo debba cominciare a ri-situarsi geograficamente: qui non c’è più niente di lontano, gli echi sono vicini, vicinissimi. E se li continuiamo a tenere lontani è perché anche noi siamo caduti in questa mentalità neoliberale, ci sembra di poter avere sempre la prima parola o l’ultima e gli echi ci sorpassano, perché parliamo sempre noi. In questo momento non c’è un confronto, tra Nord e Sud, credo che questo sia un momento in cui dobbiamo parlare della stessa cosa: i modi di relazionarsi alla vita, le sapienze, le culture, le religioni differenti, il mistero in forme differenti dentro la realtà.

A questo punto vorrei dirvi qualcosa sull’eco. Abbiamo usato nel titolo di questo intervento la parola ‘echi’ perché credo che fino a questo momento si tratti solo di questo, forse perché non riesco a individuare altre cose. Vorrei interpretare l’eco in tre prospettive: della mitologia greca, della fisica (il concetto di eco come fenomeno fisico) e della realtà di oggi. L’eco è un fenomeno. Un fenomeno è qualcosa che avviene. Non è quindi poetico scrivere ‘Echi politici e spirituali di mondi lontani’, ma riguarda ciò che accade. Non se ne scappa. Possiamo anche fare della poesia, perché è un dovere fare poesia, ma questo è un fenomeno, cioè è un qualcosa che sta avvenendo nella nostra storia e che ci tocca. Se è un fenomeno, è qualcosa che si realizza, che possiamo leggere, interpretare, dal quale possiamo imparare, anche imparare a vivere. Attraverso i fenomeni, gli esseri umani nelle differenti epoche storiche hanno imparato a vivere in un altro modo e noi ci riferiamo a questi echi di sapienze, culture, modi di vita, perché hanno questa potenzialità.

Ricordo che secondo la mitologia greca Eco è una ninfa che aveva cercato di distrarre la dea Era da Zeus, utilizzando la tattica di parlarle incessantemente. Quando Era scoprì l’inganno, castigò la ninfa, obbligandola per il resto dell’esistenza a ripetere solo le ultime parole pronunciate dagli altri. La ninfa, incapace di prendere l’iniziativa nel parlare e sempre obbligata a ripetere, comincia a vagare per i campi e così conosce Narciso, un pastore molto bello di cui s’innamora. Ma Narciso non la riconosce, pensa che è matta e la rifiuta. Allora Eco pensa di essere veramente malata, segue Narciso da lontano e per la tristezza non mangia e non beve più, fino a sparire quasi del tutto; di lei rimane solo la voce, un’eco che ripete le ultime parole di Narciso.

Credo che questa mitologia ci possa aiutare a riscoprire il fenomeno di cui stiamo parlando. L’esistenza contemporanea dei popoli, con le loro culture, le loro religioni, le loro cosmovisioni, il nuovo nomadismo che ci arriva come notizia e che si avvicina sempre di più, assomiglia a Eco, la ninfa. Per qualcuno, forse, questo nomadismo è il frutto del castigo di qualche dio o di qualche dea, che ha castigato i popoli a ripetere le ultime parole di una frase. E’ interessante notare che si tratta delle ultime parole, cioè di quello che resta, dello scarto. Forse è vero: in un primo momento questo fenomeno ci sembra uno scarto, perché arriva come la parte finale di qualcosa che non riusciamo a capire bene o che non abbiamo voluto capire e che adesso ci troviamo davanti mentre vaga per la tristezza: ne resta solo l’eco. Però io credo anche che pur restando con quest’immagine della mitologia greca, la voce continua a vagare in spazi storici reali, ci tocca e ci arriva; prima o poi, ma ci arriva.

Se prendiamo l’eco come fenomeno fisico, il mito diventa realtà o restituisce forza alla realtà, così possiamo continuare a interpretarlo. L’eco quasi sempre si produce quando un’onda sonora si riflette. Quando si ode, non solo si percepisce l’onda diretta, ma anche tutti i riflessi che provengono da un suono. Entriamo in un altra sensibilità. Il fenomeno del nuovo nomadismo ci arriva forse non direttamente, ci arriva come eco, come un riflesso, un riverbero, un fenomeno derivato da una riflessione del suono. Basta un leggero prolungarsi del suono, una volta che si è estinto il suono originale: noi continuiamo a percepirne i riflessi sonori. Quando il ritardo è maggiore l’eco è più intensa.

Questo aspetto mi sembra profondamente importante. Cosa significa per noi? Credo che sia una questione di spazi, sono onde sonore che ci arrivano dagli infiniti spazi dei mondi postmoderni. Per me l’eco corrisponde alle altre culture, ad altri modi di pensare, ad altre storie inedite, altre logiche, altre aspettative e altre rivendicazioni. Le rivendicazioni storiche postmoderne non sono le rivendicazioni di trenta o quaranta anni fa. Gli echi storici dei popoli sempre ci sono arrivati, soprattutto in questi 40-50 anni, ma non sono gli stessi echi storici: non solo ci arrivano con più intensità, ma ci arrivano in un altro modo. Se leggiamo nei documenti della Chiesa alcune considerazioni sulla realtà di 40 o più anni fa, percepiamo che dobbiamo ri-situarci rispetto a queste letture storiche, anche se parliamo degli stessi popoli.

Nella realtà, parlare di questi popoli, delle loro situazioni di pena, di dolore, di ingiustizia, a volte ci fa contenti, perché ci sembra di riuscire ancora a tenere in mano questa situazione, ma ci fa anche essere tristi, perché ne sentiamo tutto il bilancio di pena. Noi rimaniamo probabilmente con la nostra mentalità occidentale, così sicura, così ferma nei suoi pilastri dottrinali. Siamo rimasti fermi, mentre, anche se è aumentata la povertà – o forse precisamente per questo – gli echi dai popoli ci arrivano in un altro modo, con delle nuove rivendicazioni e con dei metodi di rivendicazione differenti. Credo che in questo momento i popoli ci stiano giudicando: giudicano le religioni nella loro dottrina e nella loro staticità, giudicano le politiche statiche e sterili dei paesi chiamati democratici e giudicano le nostre filosofie, cioè il nostro modo di relazionarci e le nostre etiche. Qui siamo coinvolti tutti. Qui non si tratta solo di vedere se affitto il primo piano ai senegalesi o ai marocchini o agli indiani, qui si tratta di voler continuare a vivere in un altro modo. In questo momento storico questo può essere il contributo delle sinistre, delle persone che pensiamo possano seguire ideologie più elastiche e più aperte. Questi sono sogni che potremmo riprendere per continuare a vivere, tenendo conte che però dovremmo imparare a vivere in un altro modo.

Io credo che anche in questo aspetto dell’eco siamo statici nella questione della fede, perché la nostra fede sembra così poco creativa. Anche quando parliamo dell’amore siamo così poco creativi! Da un lato si fanno dei trattati teologici sull’amore (‘Deus est charitas’), dall’altro si finisce per scrivere l’orario della Caritas (dalle 8 alle 9) e questo riduce il discorso sull’amore a un assistenzialismo e la fede tace un’altra volta. La fede invece deve essere creativa e deve dire delle cose sulle situazioni storiche. Non si può chiudere il discorso dicendo “ma noi non ci possiamo interessare di queste cose” o “ci interessiamo aprendo uffici della Caritas”. Perché riduciamo le cose in questo modo? Nella storia le fedi e le sapienze delle religioni hanno il diritto di rivendicare uno spazio di sogno grande, perché quando si parla delle cose di Dio, il corpo, la mente, i sentimenti cominciano a entrare in altre dimensioni. Allora dobbiamo osare parlare di questo e pretendere dalle nostre religioni che dicano cose differenti, che assumano la storia in modi diversi. Ci sono grandi sapienze che cambieranno la storia. La storia non cambia solo perché qualcuno ha delle ideologie più interessanti degli altri, ma qui cambia per motivi di vita concreta, che certamente ci chiedono un cambiamento profondo di mentalità.

Termino riprendendo un testo biblico, per le persone che vedono un riferimento importante in questa parola gratuita lasciata nella storia, che è parola del mistero. E’ Giovanni 4, l’incontro di Gesù con una donna che nel testo non ha un nome: si chiama ‘la samaritana’ e cosi la si fa entrare in una categoria storica e culturale molto forte di popolo, dove le donne avevano da sostenere grandi difficoltà di genere. Non entro nella questione del testo, solo vorrei farvi notare che in questo testo si mostra un movimento migratorio, che non è tanto determinato dalla necessità di cercare un posto, è la migrazione della religione. E il primo che dà questa indicazione è Gesù. Lui dice a questa donna: “Donna, è arrivato il momento in cui né su questo monte né su un altro monte si adorerà, ma i veri adoratori, le vere adoratrici, sono quelli che adorano in spirito e verità”. Questo versetto ultimamente mi ha accompagnato molto e mi sembra profondamente bello il fatto che dà autorità alla fede per chiedere alle religioni che dicano qualcosa.

E’ un sogno. Le religioni ufficiali per poter continuare a vivere la loro diaconia nella storia contemporanea devono lasciarsi spiazzare. E lo devono fare con i loro propri popoli: né su questo monte, né sull’altro monte. Ed è significativo che per questo si usa l’immagine dello Spirito, cioè di questa possibilità divina e storica di allargare gli spazi, di accomodare gli spazi in un altro modo, in un modo sempre più caldo perché la gente si possa incontrare. E la verità. La verità che è sempre ignota, fin quando la tiene una persona sola o solo un gruppo, la verità che non risplende fino a quando le persone non si uniscono, non parlano, non si scambiano dei gesti, delle idee, dei sogni.

Io credo che davvero questo sia un momento importantissimo per la nostra storia. Importantissimo perché già da tanto parlavamo dei ‘nuovi soggetti’, anche nelle lezioni di teologia all’Angelicum che alcuni di voi frequentavano. Adesso sento che questo concetto dei nuovi soggetti ha più forza e non perché è cambiata molto la situazione, ma perché abbiamo altre possibilità, sono entrate in gioco altre forze, forse tremende; è vero che il processo migratorio ha dei lati molto oscuri, perché c’è gente che si vuole approfittare economicamente di questo processo e altri lo vogliono escludere. Però guardando da un’altra prospettiva, scopriamo la possibilità di entrare in un nuovo movimento storico.

Certamente sono consapevole che devono cambiare le categorie fondamentali del nostro modo di pensare Dio. Per questo il canto dice di dare spazio a questo Dio che non ha solamente lineamenti umani, ma ha i lineamenti del sole, della luna, della terra, delle lacrime, del sale, dei fiumi, dei mari, dei vulcani, che cioè ha queste dimensioni misteriose. Come possiamo aiutarci a entrare in altre relazioni con il mistero, con la storia, a riconoscere che potremmo riscoprire delle relazioni nuove nella realtà e a non aver paura di queste nuove possibilità?

Credo che questi flussi di persone abbiano la stessa forza del sangue. E il sangue fluisce. A volte lo perdiamo. Mentre preparavo queste riflessioni pensavo all’emorroissa, questa donna che da dodici anni vive una situazione in cui il suo sangue fluisce incessantemente. Per alcuni popoli vedere partire i figli è come una emorragia lunga e dolorosa; per altri potrebbero leggersi alcune profezie dei profeti dell’Antico Testamento quando chiedono a Gerusalemme di riconoscere questi che vengono da lontano, che vengono a invitare di salire al monte del Signore, come dice Isaia 2. Questo è un flusso di sangue. Sappiamo che del sangue non bisogna avere paura, però bisogna parlarne e non permettere che sia solamente un’emorragia, ma che venga un’altra volta a fluire come qualcosa che dà vita alla storia. Bisogna che i popoli parlino e noi dobbiamo lasciar parlare il più possibile le culture, le religioni. E quando dico i popoli, le culture, le religioni, io non faccio dei miti di perfezione, non dico: questa cultura è più perfetta dell’altra. Siamo abbastanza maturi per pensare che non si tratta di chi è il migliore o da dove viene la salvezza, che è il discorso tra Gesù e la samaritana. Credo che ci sia un’indicazione più profonda nella la storia: qui nessuno ha la ragione, nessuno ha la verità, la dobbiamo cercare e si può solo cercare prendendo contatto. Nessuno ha la ricetta per un altro tipo di vita alternativa a questa, ma bisogna cercarla.

Questi potrebbero essere imperativi etici per creare istituzioni che ci permettano di incontrarci tra di noi. Credo che questo sia uno dei criteri di discernimento per vedere se le istituzioni, le strutture - che siano strutture religiose, politiche, sociali - servono o non servono per incontrare questi flussi migratori. Se non servono bisognerà lasciare questo monte o altri monti e cercare questo stile di montagna fatta per la passione per la verità e la passione per lo Spirito, cioè per questa mobilità interiore che dà vita.


DISCUSSIONE


Giorgio di Lanuvio: Grazie, è stata un’ora di riposo, non in senso passivo ma in senso evangelico, contemplativo. Accetta un complimento: sei splendida. E’ la prima volta che ti vedo. Grazie per la testimonianza di vita. Questi sono gli echi che arrivano a noi. Prima dicevi che a livello informativo noi siamo più aggiornati, ma guarda che le notizie che arrivano di là sono pochissime e molto filtrate. Quindi se tu potessi spendere una parola e dirci che cosa sta nascendo, che gemme di primavera stanno nascendo in America Latina, per cui abbiamo tanto pregato e condiviso in questi anni. Sogno giorni in cui il vangelo sia preso in mano da persone come te, che possano avere questo contatto che non sia solo di carattere razionale, ma esperienziale.
Ho una gioia grande nel cuore perché mi sembra che stanno arrivando a maturazione le intuizioni che Bonhoeffer nel carcere di Tegel ha scritto in ‘Resistenza e Resa’, cioè interpretazione non religiosa dei concetti biblici. E’ una grande gioia per me. Gesù che è venuto non a portare una religione, ma la vita. Mi colpisce molto in questo periodo Giovanni 10, in cui si dice: “Io sono venuto perché abbiate la vita”. Una vita piena e completa.
Mi veniva in mente Pedro Casadaliga, quando parlavi. Ma volevo farti anche una domanda più personale. Se vuoi rispondi, altrimenti lascia stare. Ognuno di noi ha un contesto in cui vive la propria affettività, in cui si gioca la sua quotidianità, si gioca i sogni, la fatica, le speranze… Anche tu ce l’hai. Potresti dirci qualcosa al riguardo?
Concludo dicendo che io a vent’anni avevo due sogni. Il primo era di vedere le Chiese riunite intorno all’Eucarestia dopo essersi chieste perdono. E’ un sogno, dico: “Signore, morirò e non lo vedrò realizzato”. Pazienza. Il secondo sogno era che non ci fossero più fratelli e sorelle che muoiono di fame. Anche questo sogno morirò e non lo vedrò realizzato. Ho fatto una piccola riduzione di sogni: mi piace scrivere qualche poesia. Sarei felice di vedere che qualche popolo si riscatta da una lunga storia di umiliazione e si riguadagna il diritto alla libertà e a gestire i propri beni e la propria storia, senza che gli altri gliela rubino.

Claudio: Di fronte alle tue sollecitazioni vengono subito delle domande del tipo: cosa possiamo fare? C’è sempre questo interrogativo: cosa stiamo facendo? cosa possiamo fare? Ma c’è anche un altro tipo di interrogativo, forse più importante, prioritario e mi piacerebbe avere un tuo commento: chi sono? chi siamo? E poi in successione dovrebbe venire quasi di conseguenza il fare.

Cristiano Colombi, del SAL: Una riflessione che mi è venuta in mente qualche tempo fa considerando questa lunga stagione di voto in America Latina, questa rivoluzione del voto. In sintesi: mi colpisce la grande capacità di resistenza dell’America Latina, cioè la grande capacità di mantenere, coltivare, aggiornare, mettere in discussione, rilanciare continuamente i propri sogni. In modo diversi, a volte contraddittori, con soggetti forse diversi, ma mi sembra che rimane questo filo rosso. E mi colpisce anche il fatto come questo sta in netta contraddizione con quella che è spesso la nostra attenzione nei confronti dell’America Latina, che invece è in un momento di calo. Forse adesso con la moda dei nuovi presidenti ritornerà un po’ in auge, però negli anni scorsi tutto questo processo andava avanti, mentre qui l’attenzione verso l’America Latina stava calando. Quindi dal buio, da un luogo che avevamo quasi dimenticato, riscopriamo che invece le cose sono andate avanti e sono cresciute.
E poi penso anche alla nostra esperienza qui. Noi allo stesso modo siamo combattuti, siamo violentati. Penso a tante esperienze sociali, ma anche esperienze religiose, esperienze delle parrocchie, esperienze molto concrete di delusione o di sconfitta. E forse davanti a questo noi reagiamo in modo diverso. Questa forse può essere una lezione. Volevo da te una riflessione su questa capacità di resistenza.

Gianni, missionario del PIME: Purtroppo non ho potuto ascoltare tutta la conferenza della teologa Antonietta Potente, che in passato avevo letto. Non ci conoscevamo, ma mi hai aiutato ad essere ‘missionario in punta di piedi’ entrando in un’altra cultura. Cosa voglio dire? Leggendo in passato ‘Teologia in frammento’ tu mi hai aiutato ad essere capace, prima di portare qualcuno o qualcosa, di ascoltare il popolo presso il quale mi sono inserito. Certo, è faticoso inserirsi nel popolo dell’Amazzonia. Ho lavorato cinque anni in Amazzonia e posso dire che sono ancora agli inizi. E’ un processo doloroso, è una morte, andare lì senza nessuna sicumera, senza nessuna superbia, nessuna protervia e inserirsi nelle culture. Ti chiedo: tu che mi hai già aiutato con la tua vita, con la tua testimonianza, che è una parabola che dice tutto, come mi puoi aiutare ancora di più, anche dal punto di vista teologico (dato che mi appassiona la teologia) a educarci a una teologia nonviolenta, cioè una teologia che - proprio a partire dal dettato del Concilio Vaticano II, dove fu abbozzato questo aspetto di una teologia che non deve violentare le culture - deve raccogliere i frammenti di bellezza, di bene presenti nelle culture, ma nello stesso tempo senza cadere in forme di estremo culturalismo, che perda di vista l’ecumene più generale?

Risposte di Antonietta Potente:
Riguardo ai segnali che ci possono venire concretamente dall’America Latina. Unisco le due domande, non tanto per non voler parlare del contesto dei miei affetti e delle mie intuizioni, ma perché credo che sia lo stesso contesto.
Certamente io dico queste cose perché ultimamente ho ricevuto molta speranza dal processo che viviamo in Bolivia, un processo che mi riguarda perché vivo lì, ma un processo che sta nelle mani di altre persone, che sono la maggioranza numerica e che il mondo pensava che già avessero già detto tutto, rivendicato tutto. E’ un processo differente, che ha bisogno di un’analisi differente: non possiamo continuare a leggere questi processi con gli stessi criteri sociopolitici di sempre, perché i protagonisti non hanno gli stessi criteri. In un incontro recente, le domande si muovevano sempre in questo universo storico che è proprio dell’Occidente: destra, sinistra, centro, una politica di centrodestra, una politica di centrosinistra… Lì c’è una politica di sopravvivenza e la sopravvivenza è mistica, perché sopravvivere significa toccare la vita davvero: non me la invento, non è una vita virtuale, è la possibilità di sentire con il proprio corpo il mistero. E il mistero riguarda il nostro presente, il nostro futuro.
Io credo che la chiave di lettura in questo momento consista nel passare da una immagine dei processi storici sociopolitici utopica o ideologica, concettuale, a un’immagine dei processi storici esistenziale. Io sono convinta che la maggioranza di noi ha una sensibilità verso la necessità e il bisogno degli altri, ma lì non c’è solo un processo di rivendicazione di una giustizia economica nei confronti di chi ha bisogno, c’è una necessità reale. Oltre a questo c’è una sfumatura più forte, in questo momento storico, che è quello dell’identità e della dignità. Giorgio citava Bonhoeffer. Io credo che l’intuizione più bella che Bonhoeffer ha avuto sia che il mondo è adulto, che noi abbiamo a che fare con un mondo maggiorenne. Non vuol dire che è un mondo perfetto, non si tratta di culture che sanno più di noi o che hanno più aspetti positivi. Non credo che si debba entrare in questi giochi competitivi. Ma sì, io non posso trattare nessuna persona, nessun essere vivente, senza considerare il suo essere maggiorenne, le sue risorse.

Entro nella questione delle resistenze dell’America Latina.
Io credo, per quel poco che capisco intellettualmente e per quello che percepisco come corpo, per quello che sento misticamente, che gli indigeni siano strategici. Sono popoli profondamente strategici nei confronti delle religioni, hanno strategie che solo loro conoscono. Come dice Carl Jung, questo segreto non è un segreto che spaventa: a me sembra così bello non conoscere il meccanismo del movimento di una storia. E credo che questa strategia sia in relazione con le loro necessità esistenziali, di sopravvivenza economica e di vita, però unite alle loro esigenze di dignità e di identità. La loro storia è eloquente in questo senso. Forse è poco chiaro per noi, perché continuiamo a leggerla con altri criteri.
Io credo che anche qui viviamo la stessa cosa. In questo momento il mondo non è diviso solo tra oppressi del Sud e oppressori del Nord, ma si sono perseguitati i nostri sogni, che siano del Nord o del Sud, dell’Est o dell’Ovest. Sono minacciati tutti i sogni alternativi, che devono vivere la minaccia della prepotenza di altre realtà. Però io credo che anche in queste parti di mondi che pensiamo in un altro modo, che non corrisponde alla realtà dell’Asia, dell’Africa, e dell’America Latina, l’utopia della resistenza venga, se davvero possiamo considerare la nostra azione come una questione di vita o di morte esistenziale o di come poter tornare ad essere mistici, cioè a vivere sentendo la vita e non solo vivendola passivamente o con false obbedienze.

Rispetto alla domanda su cosa e prima ancora su chi siamo, credo che si tratti di un processo mistico politico. Molto velocemente: io credo che i cristiani – che siano cattolici, riformati, evangelici, anglicani - devono chiedere alle loro chiese di cambiare. Punto. Cioè qui non c’è più da discutere. Mi sembra così strano che noi pensiamo ancora all’istituzione come un mostro che ci fa soffrire, che ci perseguita. Va bene, ci perseguiterà, ma noi abbiamo chiaro quali sono i nostri piani di azione in questo momento. Queste cose dobbiamo chiederle. In Cochabamba, dove io vivo, la Chiesa ha parlato del processo che accompagna questo nuovo momento storico che è il processo che ci porterà a formare una nuova assemblea costituente per rivedere la costituzione. E’ un processo profondamente democratico, che si sta gestendo in un altro modo rispetto ad altri momenti in cui la Bolivia ha vissuto questo. Noi ci eravamo incontrati prima che io partissi con un gruppo di religiose di una zona e dicevamo, leggendo il documento dei vescovi, che forse quello che dovevamo chiedere, mentre il popolo vive tutto questo processo e che noi siamo parte del popolo, è che la Chiesa nostra (perché lì siamo la Chiesa locale) entri in un processo di costituente nuova, cioè si riunisca in un altro modo e cominci a fare questa autocritica; perché è inutile che noi qui scriviamo cose belle sulla giustizia, il diritto delle persone, il diritto alla libertà, quando viviamo in un silenzio totale, in queste paure da corridoi, queste paure così sterili. Per cui io credo che questo sia il momento più chiaro per le persone che hanno una fede, che sia una fede religiosa o una fede politica: bisogna essere più esigenti. La nostra fede è così neutrale, così poco esigente con noi stessi, per cui ci sono dei grandi vuoti etici nella vita delle persone. Cioè noi siamo, come dice l’Apocalisse, né caldi né freddi. E’ un vuoto etico non essere né caldi né freddi, “ti vomito dalla mia bocca” è la soluzione del profeta dell’Apocalisse. Non possiamo più vivere con questi vuoti etici, non possiamo semplicemente dare la colpa ai mostri e ai fantasmi. Oltretutto sono convinta, e me lo facevano pensare i vangeli di questi ultimi giorni, che il potere uno ce l’ha se noi glielo diamo, se nessuno glielo dà parlerà da solo; ma uno che parla sempre solo prima o poi lo rinchiudono.

Come possiamo realmente riscoprire la possibilità di essere esigenti. Questa è la mistica. Cosa pensate, che la mistica sia avere le visioni? Può darsi. Ma questo è il fenomeno mistico che dobbiamo vivere oggi, per cui non possiamo più solo scambiarci le colpe: avete colpa voi, le istituzioni… No, io credo che in questo momento c’è da superare questi vuoti etici, questi vuoti di fede religiose e politiche, c’è da superare anche il dialogo. Io non sogno neanche con questa parola del dialogo, tanto il dialogo non serve a niente, se non si fanno dei veri cambiamenti con il corpo, con la vita dentro, che si fa toccare da questo mistero che trasforma la storia.

E credo che qui stia anche la teologia, questa teologia nonviolenta di cui parlava Gianni. Io credo che per fare una teologia nonviolenta non bisogna essere gelosi del mistero, gelosi di non sapere, gelosi di stare soli, perché gli altri in certi momenti stanno in compagnia. Ci vogliono delle personalità mature per fare una teologia nonviolenta. Non ci vogliono delle dottrine sicure, ma delle personalità sicure. Per questo i mistici lungo la storia ci hanno accompagnato non con delle dottrine, ma con delle personalità. Noi dobbiamo crescere come persone mature. E certo, se ci alimentiamo di una teologia da cortili, cioè da centri ristretti, non cresciamo come teologia matura e come persone mature, e allora non possiamo dire niente.
Il discorso sarebbe lungo. Personalmente io credo che le stesse fonti della teologia oggi debbano allargarsi, non basta oggi fare teologia solo con la Parola di Dio, il Magistero, la Tradizione, queste tre fonti devono allargarsi, ci sono altri contributi che consentono che il Magistero, che la Tradizione, che la Parola di Dio siano vive. Per cui credo che siamo interpellati, i teologi e le teologhe, a entrare in questo cammino mistico-politico. Gli altri fedeli lo stesso. Quelli che hanno avuto o continuano ad avere una militanza politica, ideologica, di trasmissione di ideologie, debbono essere più esigenti con se stessi, con la loro fede, coi loro sogni. I sogni sono una cosa seria.
Per cui io credo che viviamo un momento bello. Forse difficile, ma credo che questo non spaventi nessuno. E’ bello perché siamo in tanti. Non siamo solo in tanti cattolici, evangelici, musulmani... no, ci sono anche quelli che non ci appartenevano o che non appartengono a nessuno, ma ai quali la sopravvivenza, questo sogno reale, esistenziale, della vita, del diritto all’identità, alla dignità, adesso ha dato la possibilità di parlare. Ma queste sono categorie storiche, sociologiche, antropologiche che come sento intellettualmente, dobbiamo ancora far entrare o alle quali dobbiamo dare più spazio dentro i nostri ambienti. Non possiamo certamente giocare solo con una giustizia di cose, dobbiamo entrare in un’altra dinamica mistico-politica.