lunedì 7 gennaio 2008

8/ Caterina e Teresa - 8/11/06

Caterina e Teresa, passione e sapienza nella mistica delle donne

dialogo con Antonietta Potente, Giselle Gomez, Shahrzad Houshmand, Francesca Brezzi, Massimo Orlandi


MASSIMO ORLANDI

Le mie parole non sono all’altezza. Però ho trovato una frase di Gandhi che dice: le donne sono le custodi per eccellenza di tutto ciò che è puro e religioso nella vita.

Mi sembra una porta di accesso bella per entrare in questo mondo femminile che questa sera sarà al centro della serata. Io proverò ad essere quell’occhio curioso e indiscreto che prova a calarsi ad ascoltare a cogliere un po’ di questo mistero e ad assorbire un po’ di quel femminile di cui c’è tanto bisogno nella nostra società; di essa hanno molto bisogno gli uomini e forse un po’ anche le donne. Però l’altra porta d’ingresso da aprire, vorrei che fosse attraverso l’emozione una poesia che ho letto e che ci porta per la prima volta alla scoperta di questo libro. Mi sembra un modo molto poetico di entrare nel mondo femminile. E’ un canto della poetessa Julia de Burgos che trovate nel libro:

Io ho voluto essere come gli uomini volevano che fossi: un’intenzione di vita, un gioco a nascondino con il mio essere. Però io ero fatta di presenze e i mie piedi appoggiati sulla terra promessa non sopportavano di camminare indietro e procedevano avanti, avanti, burlandosi delle ceneri per raggiungere il bacio di sentieri nuovi.

La poesia è una delle componenti di questo libro. Ci troverete passi di danza; ci troverete colori, suoni, emozioni, atmosfere. Leggere questo libro è un’esperienza speciale ed è un po’ come ammirare un paesaggio in ore diverse del giorno non lo afferri mai, però ogni volta libera qualcosa di verso. Quindi un libro che racconta, un libro di suggestioni, di suggerimenti, di emozioni che ogni volta possiamo incontrare: non sono mai le stesse. Non si ha mai la sensazione di averlo completamente afferrato. Il compito più difficile spetta subito a Francesca che è chiamata a introdurci in questo mondo, nel mondo di Caterina e Teresa come lo hanno rappresentato Gisélle e Antonietta. Nella tua rete di suggestioni che cosa è rimasto impigliato?

FRANCESCA BREZZI
Veramente tantissime cose e quindi cercherò di riassumere alcune di queste suggestioni. La prima cosa che voglio dire è che questo è un libro da leggere. Rinvio alla lettura diretta perché è un libro talmente ricco che le nostre parole, per lo meno le mie, possono solo renderlo in maniera banale. Vorrei dire che è uno scrigno che mi ha offerto molti tesori, nei quali, nelle sue metafore, mi sono molto ritrovata.
Una caratteristica che ho apprezzato subito di questo libro, pur provenendo da delle teologhe di altre culture, è che mi sono trovata subito a casa mia. Mi sono ritrovata con tutte le mie precomprensioni, con tutte le mie stesse categorie. Questa ricchezza però è una ricchezza composita, molteplice, fatta di tanti fili.

Una seconda caratteristica: questo libro si può leggere come un romanzo e mi ha fatto venire in mente i grandi romanzi degli scrittori e delle scrittrici dell’America latina di cui io sono molto appassionata. Perché la ricchezza delle metafore, la dolcezza del discorso fa si che sia come un romanzo, non un libro pesante di psicologia sistematica.

Ho apprezzato questa ricchezza e questo termine che ho ritrovato tante volte: tessere e ritessere. Questo secondo me è un libro ricco di metafore femminili, se non vogliamo dire femministe, (perché è un termine che mette paura a qualcuno, ma che io vorrei usare): tessere e ritessere la tela, che a me richiama un’altro libro di Antonetta: Un tessuto di mille colori. Tessere e ritessere,e il termine “il parto”. Continuamente c’è il richiamo al parto, alla nuova creazione, alla creazione. Sono tutte metafore che solo due donne possono usare appropriatamente. Non dico che gli uomini non le possono usare. Però due donne le usano in maniera appropriata. Questa ricchezza di metafore però ci consentono di cogliere significati, io direi, di alta teoretica teologica e filosofica. Come dicevo, mi ci sono ritrovata. Io non sono teologa, sono filosofa, però mi sono ritrovata in questo loro percorso. La caratteristica della mistica, quale emerge da questo libro, è in piena sintonia con la riscoperta della mistica che si è fatta in questi nostri anni: la riscoperta della mistica come (e questo lo vorrei sottolineare) modo di giungere al divino per una strada diversa da quella delle teologia sistematica, ufficiale, ma nello stesso tempo non una mistica come annullamento del nostro sentire, ma come espressione di una alta teoretica, di una riflessione di grande rilevanza come appunto in Caterina e in Teresa (non a caso dottore della chiesa) noi ritroviamo.

Quindi mistica non come espressione di una sentimentalità, di un’emozione, ma come espressione di una riflessione di grande rilevanza. Ma che tipo di riflessione? Non si tratta di un discorso teologico sulla linea della teologia ufficiale, ma di una riflessione ce io chiamo di un pensiero alto, di un pensare diverso, che è il pensare diverso che nella seconda metà del Novecento ha caratterizzato proprio il pensare Dio in maniera differente, ricorrendo ad un pensiero differente. Noi possiamo arrivare a riscoprire (questa è la grande opera della riflessione femminile) una genealogia femminile, attraverso queste grandi figure che ci indicano pensare Dio diversamente.

Riscoperta della mistica, e all’interno della mistica riscoperta delle donne: è questo un filone di grande importanza: le donne devono parlare in prima persona, e invece sono assenti in gran parte della storia del passato, soprattutto nella storia della teologia. Sono assenti perché la loro voce non è arrivata. Però noi abbiamo delle grandi figure, appunto Caterina e Teresa che rappresentano una voce ascoltata. Nel loro tempo ci furono poche donne ascoltate. La riscoperta di queste figure femminili ci consente di ricostruire questa genealogia e, come dicono le autrici del libro, di guadare avanti, al futuro. Il libro non è (e sarebbe già una bella opera) una riscoperta di figure del passato dimenticate, quanto piuttosto ci dà indicazioni per costruire il nostro futuro aiutate da queste figure del passato.

In questo libro è apprezzabile la metodologia. Un’altra delle figure metaforiche che mi ha fatto ritrovare a casa mia è la figura della danza. In questo libro le autrici entrano con passo di danza e richiamano continuamente questo tema della danza proprio per indicare da un lato una sorte di leggerezza, non di pesantezza, ma nello stesso tempo anche per indicare un approccio diverso: si devono avvicinare i testi, loro dicono, con un’ermeneutica critica. E questa credo che sia un’indicazione di grande importanza che le teologhe ed anche le filosofe stanno attuando: l’ermeneutica critica, l’ermeneutica del sospetto.

Ecco avviciniamoci ai testi con l’ermeneutica del sospetto. Uso spesso la metafora del restauro della Cappella Sistina, ma si potrebbero fare tantissimi altri esempi. Si tratta di avvicinarci ai testi del passato eliminando quello che il tempo, la storia, l’ambiente, la tradizione vi hanno depositato sopra. Tutte quelle ombre. Pensiamo appunto alla Cappella Sistina: com’è apparsa dopo il restauro, quali colori brillanti ha manifestato. Si tratta di togliere il sovrappiù. L’ermeneutica del sospetto è un po’ questo: togliamo il sovrappiù e avremo le parole autentiche che sono state dette.

MASSIMO ORLANDI

Grazie Francesca. Nel libro, le protagoniste non arrivano subito: si fanno un po’ attendere e noi rispettiamo questa cosa per cui le teniamo un attimo in attesa. Prima però compaiono alcune parole che ci arrivano con un impatto diverso dall’uso abituale. Ne scelgo due. La prima è la parola mistica che, per quel poco che ne capisco, mi ha sempre fatto pensare a un’esperienza di pochi privilegiati dello spirito, e invece voi autrici la definite in un modo molto diverso, come ad esempio gratuita esperienza del desiderio di contatto con il mistero. Come infinito desiderio di una vita che mantiene uniti. Un desiderio, una cosa che tutti possono sperimentare, provare.

E la seconda parola che, almeno a noi uomini ci mette un po’ sull’attenti è femminismo o femminista che di solito ha un sapore di militanza, di lotte importanti, giuste, ma anche di schieramento, mentre nel vostro significato per quello che ho letto significa qualcosa di diverso: un’apertura. E’ un po’ la storia stessa delle donne.

Vorrei tornare un attimo, prima di arrivare a Caterina e Teresa, sul significato di queste due parole.

ANTONIETTA POTENTE

Per la mistica, bisogna tenere conto di dove è stato scritto il libro. Voi lo avete in italiano, ma è stato scritto in America latina, tra la Bolivia e il Nicaragua. Non credo che in America latina si possa parlare della mistica come abbiamo parlato per tanti secoli in Europa. Quando scriviamo noi abbiamo in mente delle donne concrete. Per noi è mistica la lotta delle donne per esempio per imparare a leggere e scrivere, per conquistare i loro diritti minimi, che sono quelli di avere perlomeno una minima sicurezza nella salute, per i loro figli. Uno comincia a vedere che deve ritradurre questi termini, anche perché Caterina e Teresa anche hanno l’idea di dover sopravvivere in una storia così difficile com’erano le due storie che sono toccate a loro due nel 1300 l’una e nel 1500 l’altra. E’ quasi obbligatorio in America Latina ritradurre questi termini. C’è un rischio. Io non sono latina americana, il rischio è di parlare di queste cose come se fossero temi. A noi,m come diciamo nel libro, ci piaceva tantissimo poter restituire alle donne ed anche agli uomini qualcosa di più reale, perché come diceva Francesca Brezzi, tutti e tutte si possano riconoscere. Per me la cosa più bella è sentire che una persona che dice di non essere teologa, dice che si è riconosciuta. Vorrei che si riconoscessero tutti e tutte in questo tipo di rilettura della mistica. Quando è uscito il libretto in America latina, l’ho fatto vedere ad una donna che non sa leggere e scrivere ed ha visto la copertina che nell’edizione dell’America latina è più allegra. Voi siete molto seri, noi siamo più contenti. Questa donna ha guardato il libro e ha detto: che bello. Per noi questo è importantissimo. Lei non sa leggere e scrivere, non sa chi sono Caterina e Teresa perché non entrano nella sua cosmovisione. Ma per noi dire: che bello è già un gesto mistico e credo che dobbiamo scambiarci questi tipi di esperienza per incominciare a fare una rilettura critica, come diceva Francesca Brezzi (che poi è un tipico criterio femminista).

Sulla questione del femminismo. E’ vero che probabilmente noi ritraduciamo anche il termine, però per noi è importantissimo. Non abbiamo mai considerato il femminismo in negativo. Ci sembra importante, se noi abbiamo potuto riprendere questo contatto con queste due figure io credo che lo dobbiamo alla storia di altre donne che hanno dovuto sfondare delle porte; a volte forse neanche loro avrebbero voluto essere tanto violente, ma lo hanno dovuto fare e noi dobbiamo riconoscerlo. Ci sono diversi modi di essere femministe. Un modo importantissimo per noi donne è essere solidali con le donne. Voi qui siete abituati a modi ideologici, ma ci sono modi di solidarietà con queste categorie di persone, con le donne, con i popoli, con altra culture, con altre religioni. Per noi è importante riconoscerle anche come un gesto di gratitudine perché non ci saremmo mai avvicinate a queste due figure, perché nelle scuole di teologia non si insegna il femminismo e uno deve ripercorre una storia anche da sola e deve nominarlo: non bisogna aver paura.

MASSIMO ORLANDI

La domanda per Gisélle è questa: io ho avuto la sensazione che questo libro nasca da un’urgenza, da un bisogno. Vorrei capire come è stato concepito, com’è maturata quest’idea dentro di voi, perché avete avuto bisogno di raccontare queste due figure attraverso il libro.

GISELLE GÓMEZ

Per noi sperimentare Teresa e Caterina come ispirazione della vita ci ha fatto sentire la necessità di condividere con gli altri e con le altre questa nostra esperienza.

Quando leggerete il libro vedrete che parliamo di archetipi. Usiamo questo termine, che è quello usato da Jung quando parla degli archetipi. E ci pare importante riconoscere la presenza di Teresa e di Caterina come archetipi ispiratori per le persone. E vorremmo che ispirassero non solo noi.

L’esperienza di trovare non solo in noi, ma nella gente non solo il desiderio di condurre una vita più piena, ma anche rotture, ferite, insoddisfazione, che è il bisogno di tutte le persone di sentirsi toccate, accarezzate da qualcuno, non ci permette in alcun modo di trascurarle, ma richiede di dire questa sono io e questa parola, questa vita voglio condividerla con gli altri.

Nel IV capitolo del libro, verso la fine, utilizziamo un testo di Clarissa Pinkola Estès, una donna in ricerca, in un libro che si chiama “Donne che corrono con i lupi”, e mostra come noi possiamo riscoprire noi stessi, fa una sintesi di come noi donne ci sentiamo rotte dentro, con mancanza di vita, di sintonia con noi stesse, incapaci di riscoprirci come donne e come persone e l’esperienza che interessa è Caterina; e lo proponiamo perché ci ha ispirato e sentivamo che dovevamo dedicare questo testo che a noi ci ha ispirato.

MASSIMO ORLANDI

Shahrzad mi perdonerà se la faccio ancora aspettare, ma noi dobbiamo far entrare in scena Caterina e Teresa e qui forse è l’aspetto più spiazzante del libro, perché, in modo diverso da quello che uno potrebbe aspettarsi, non c’è la biografia, né la descrizione dei fatti, delle opere, del cammino di vista. Ci sono delle tracce, simboliche, del percorso di vita, mas Antonietta e Giselle chiariscono molto bene che non si tratta di prendere esempio e di imitarlo nella propria vita, ma di fare qualcos’altro. E’ il tema dell’archetipo. Caterina e Teresa non devono essere paradigma, ma modelli e forze interiori, strumenti di comprensione interiori. Ci si entra in contatto con la solidarietà femminile. E’ un passaggio chiave e vorrei che Antonietta ce lo spiegasse.

ANTONIETTA POTENTE

In una certa tradizione teologica e spirituale esistono dei modelli che quasi sempre sono abbastanza esteriori. Con rispetto a Cristo,m sempre si è parlato di imitazione come se fosse una tensione per imparare dei gesti, dei modi di stare, a noi sembrava che queste due donne e tante altre che ciascuno può scoprire nella sua vita, non si impongono come modelli. Forse per riscoprirli noi dovremo guardarci più dentro e riscoprire che queste sono forze non sono modelli. La santità non è così egoista come noi pensiamo, così esclusivista, come noi pensiamo secondo una certa teologia della perfezione. La santità è di tutti e di tutte per cui se ci guardassimo dentro, troveremmo queste energie piene di desiderio (sono termini che usano tutte e due). Questo per noi è importante per regalarlo agli altri e alle altre che leggeranno. Ci sono molti punti di sospensione nel libro. Questi puntini li abbiamo lasciati perché ciascuno e ciascuna aggiungesse quello che sente e perché cercasse. Non solo perché non è un testo esegetico su Caterina e Teresa . Forse, anzi ne sono certa, lo avremmo potuto fare, ma non è uno stile latino americano. Quando c’è la possibilità di scrivere o di tradurre, chi scrive e traduce sente tutta la forza e l’energia come se fosse lo spirito dal di dentro che incomincia a farti sentire protagonista. Loro due ci hanno fatto sentire protagoniste dei nostri carismi, delle intuizioni che nella tradizione sono grandissime, ricchissime. Ciascuno, uomini e donne dovrebbe cercare queste tradizioni dentro, perché se sono tradizioni davvero sono tradizioni che esistono sempre, in qualsiasi cultura, in qualsiasi contesto storico. E questo ci sembra importante poterlo dire.

MASSIMO ORLANDI

In un altro punto voi dite di sentire Teresa e Caterina in complice sintonia esistenziale. Forse è davvero il momento di farle entrare in scena e di capire in che cosa consiste questa sintonia che avete trovato. Cosa avete trovato come energia creatrice per l’oggi: sono sempre vostre espressioni rispetto a quello che vivevano queste donne tanti secoli fa. Si va indietro di oltre 600 anni per Caterina e di un secolo meno per Teresa, ma siamo sempre molto lontani.

ANTONIETTA POTENTE

Io sarò brevissima. Questa forza di osare qualcosa. Lo dico per Caterina, ma credo che lo posso dire anche per Teresa. Queste due donne hanno osato moltissimo. Hanno osato con Dio, con la chiesa con le loro intuizioni molto riformatrici, hanno osato con i loro contemporanei, le loro compagne di cammino. Caterina è più simile ad alcune donne latino americane che vogliono imparare a leggere e scrivere, perché lei non sapeva leggere e scrivere, e studia tutto perché qualcuno glielo possa insegnare. La tradizione dice, ci sono anche degli affreschi, che Gesù le insegna a leggere il breviario. Sicuramente questi affreschi li avrà fatti un prete, perché in quel tempo il breviario non c’era. E’ importante questo osare tutto quello che un certo tipo di società forse non le aveva offerto e la cosa bella è che osano attraverso il mistero, toccando questo mistero. Per me assomigliano a molte donne della bibbia e a moltissime donne reali che ci accompagnano nel cammino.

GISELLE GÓMEZ

Uso un’altra categoria femminista, che è la capacità di trasgredire per rendere onore alla vita. Mi spiego: sento che l’intuizione più grande di Teresa di Gesù è ciò che conosciamo storicamente come la Riforma del suo ordine. E da questa intuizione abbiamo un avvicinamento profondo a Dio, al Sacro. In questo avvicinamento scopre che Lui è più grande di tutto.

C’erano i confessori e la gente che la circondava che dicevano che non poteva continuare con la Riforma e ricordavano quello che aveva ascoltato da San Paolo, quando dice che le donne non devono predicare nell’assemblea. E si convince che quello che dice San Paolo, la parola, non ha niente a che vedere con la fondazione. E in questo momento sperimenta che Dio le dice che non serve che dica ai confessori che segue solo una parte delle cose scritte, la scrittura ha detto molte cose. E’ solo per dare un esempio; nella sua vita incontriamo la scoperta che va facendo progressivamente di un Dio che è più grande di quello che le presentano i suoi confessori e i suoi teologi. Era molto critica nei confronti di ciò che le avevano raccontato. In questo avvicinamento a Dio è capace di scoprire che la vita stessa è molto più grande di quello che può conoscere attraverso gli strumenti ufficiali, e ne possiamo incontrare una testimonianza profonda nel Castello interiore, quando indica questo spazio molto grande.

MASSIMO ORLANDI

Dopo aver introdotto Caterina e Teresa è momento di prendere un altro aspetto del libro. Nel libro si parla dell’esigenza da parte di chi fa una ricerca spirituale mistica di muoversi attraverso orizzonti geografici o anche interiori, comunque si parla di nomadismo. Siamo approdati con loro in America latina; ora portiamo queste riflessioni di due mistiche della civiltà cristiana alla riflessione di una teologa iraniana, con una formazione molto diversa. Vorrei sapere che cosa le suggerisce questa riflessione.

SHAHRZARD HOUSMAND ZADEH

Innanzi tutto mi sento molto in consonanza con quella donna latino americana analfabeta che vedendo il libro ha detto: che bello!. In questo campo anch’io mi sento analfabeta. Cerco di capire ma a volte il linguaggio, la comprensione è diversa. Ha bisogno di una traduzione delle diverse religiosità. Ho trovato il libro bello pensando a questa immagine delle donne che cercano con delicatezza di sciogliere i nodi e poi ho apprezzato la bellezza - non molto usale - di vedere un libro scritto da due donne che non ti lascia capire quale parte è stata scritta da una e quale parte dall’altra.

Ho cercato di capire quale passo l’avesse scritto Antonietta e quale Giselle. Questo mi ha già fatto entrare nella loro mistica, perché in fondo la mistica è assolutamente potersi aprire, poter ascoltare, per arrivare magari a potersi unire in un modo o in un altro. L’unità che ho visto in loro è trasmessa in tutto il libro. Questo per me è stato il primo approccio alla loro mistica. Quello che vedono queste due sante, per me è stato uno stimolo a rivedere anche la mistica del mio Testo e della mia religione. Quando ad esempio dice che Dio è più grande di quello che dicono i teologi o anche i filosofi; e poi diventano, loro che erano formalmente analfabete, “il libro” per lo studio nei secoli su di loro, questo lo vedo riflesso nella mia religiosità. Perché Allah porta verso questo messaggio. Non solo Dio è grande, ma Dio è sempre più grande. Di tutto quello che si dice e si può immaginare o toccare è sempre più grande. Usare poi le immagini di queste due mistiche per trovare una spinta e per conoscerci e non cogliere soltanto un’immagine da imitare; questo ritrovarsi dentro mi ha fatto ricordare di nuovo un passo della mia religione, della tradizione islamica, dove dice (ho dovuto meditare per anni sul suo senso vero): in verità chi conosce se stesso conosce il suo Dio. Antonietta e Giselle ci invitano, con queste due figure, a giocare con la profondità della vita (è molto bello ciò che dicono nel libro), a rileggerci dentro, a trovare Dio dentro di noi. La santità per tutti, è quello che ci insegnano e ci fanno meditare. E’ una strada aperta per tutti. Questo di nuovo lo rivedo nel mio testo sacro, il Corano. Di solito il Corano chiama e ci si rivolge come: o voi esseri umani, senza specificare la forma maschile o femminile. O voi figli di Adamo, O voi uomini, ma non nel senso maschile perché in arabo la parola indica la complessità. C’è un versetto che dice (visto che per noi musulmani il Corano è anche un miracolo nella forma letteraria, a volte io ci tengo a leggerlo come una poesia): o tu essere umano: donna, uomo, cristiano, musulmano, persiano o latino americano o italiano, occidentale o orientale, in verità tu sei in cammino faticoso verso il tuo Signore, ma sappi che alla fine lo incontrerai. Quasi faccia a faccia ci vuol far capire. Questa per me è la strada della santità presentata dal Corano. Con la speranza e la perseveranza, arriverai.

MASSIMO ORLANDI

Questo libro nasce per le donne, per questo parliamo al femminile, Ma senza dubbio è anche per gli uomini che sono in sintonia con la stessa ricerca e la stessa sete, con il desiderio di avvicinarsi nudi al mistero. In quattro righe all’inizio c’è una dedica e un pensiero che vorrei che Antonietta allargasse dicendo questo: che cosa avete pensato che Caterina e Teresa potesse dire alle persone che sfoglieranno il libro. In che modo vi siete poste come intermediarie rispetto al vissuto, al pensiero, alle fatiche di queste due sante.

ANTONIETTA POTENTE

Che le persone credano che sono molto più belle di quanto fanno credere certe sintesi che altri fanno su di loro. Io credo che questa santità (di cui adesso ascoltavamo in altra lingua e che si ritraduce in questo faccia faccia con Dio) si dà tutte le volte che una persona riscopre che è protagonista. Per cui che sia una donna o un uomo, occidentale o orientale, di una religione o di una cultura, personalmente credo che nei cammini dei popoli ci sono sempre queste grandi intuizioni di volere essere o di voler sentire che qualcuno pronuncia il tuo nome. E a volte ci sono persone che non sentono mai pronunciare il proprio nome. Credo che Teresa e Caterina, nella loro storia, per essere donne, certamente, o sentivano pronunciare male il loro nome o forse non lo sentivano nemmeno pronunciare e prendono invece questa iniziativa: si fanno dare un nome da Dio. E’ una iniziativa di vita. Credo che a noi davvero ci consegnino di continuare, di fare tradizione: di continuare a prendere questa iniziativa di vita. Se a noi due hanno fatto quest’effetto, perché non possono farlo agli altri? E’ una grande gioia sentire che il tempo si può superare. Io non sono una donna del Trecento. Giselle non è una donna del 1500. Il tempo si supera quando qualcuno ti restituisce davvero il nome, la voglia di prendere parte alla storia. Certo l’abbiamo scritto per le donne, forse anche per abituarci ad un altro linguaggio. Però io credo che non è solo per le donne e gli uomini è per la creazione. Quando una persona è contenta pensa sempre che quello che da gioia lo deve dedicare ad altre persone. Se a noi queste due donne ci hanno dato gioia (e la danno a tante altre donne che seguono queste spiritualità) lo dovevamo condividere. Già altre volte con Giselle abbiamo scritto che questi non sono spazi privati. Questo è quello che ci dobbiamo scambiare non solo nell’ambito religioso, ma anche politico, sociale. Questi sono spazi di vita e bisogna allargarli e nessuno è maestro o proprietario di questi spazi. Bisogna farli circolare. Se a qualcuno non piace l’esegesi nostra sui testi di Caterina e Teresa, sulla simbologia, non importa. La vita non si risolve con queste esegesi chiuse. La vita è molto più grande, come diceva Giselle, come Teresa c’insegna. Questi spazi così grandi, circolari, non gerarchici, per cui davvero per noi (forse nessuna delle due sa danzare molto bene) è una danza. Teresa e Caterina ci hanno invitati per cui invitiamo altri che danzeranno sicuramente meglio di noi due.

MASSIMO ORLANDI

Una domanda riprendendo uno spunto di Shahrzard sul fatto che questo libro lo avete scritto in due, che non è una cosa così comune: scrivere insieme e non scrivere e mettere insieme che è una cosa diversa. Anzi è scritto a quattro voci, perché ci sono anche le voci di Caterina e di Teresa che vengono inserite nel libro, senza mai indicare chi ha parlato delle due. Uno poi se lo può andare a cercare nelle note. Perché la composizione risulti corale. Credo che non sia soltanto una scelta di metodo, ma una scelta di contenuti e di stile per creare questo rapporto tra donne e anche tra donne diverse. Vorrei chiedere a Giselle: come siete riuscite in questo senza scendere a compromessi. Come si lavora insieme per scrivere?

GISELLE GÓMEZ

Si lavora, lavorando. Abbiamo condiviso le nostre nostalgie, i nostri desideri, la nostra maniera di comprendere la vita, e questo ci ha fatto venire il desiderio di condividere con altre persone e di scrivere insieme per altre persone.

E’ evidente che per scrivere insieme si deve avere una sintonia perché il rischio è di compromettere qualcosa, di perdere uno o un altro aspetto: la sintonia è un presupposto importante.

Un aspetto importante per noi è stato usare un linguaggio alternativo non solo perché scriviamo al femminile, (volevamo scrivere alle donne), ma anche perché abbiamo voluto esprimere la solidarietà tra le donne e con le altre persone.

MASSIMO ORLANDI

C‘è anche un’altra componente che entra in questo percorso di donne ed è la componente Sud America. E’ la vita in cui Giselle è vissuta e quella in cui Antonietta è stata adottata. Come la presenza di quel tipo di vita, di mistica, di rapporto con il mistero entra in questo libro e che cosa ci insegna?

FRANCESCA BREZZI

Stavo pensando proprio adesso alle loro parole. Abbiamo tante voci, adesso qui abbiamo fisicamente lo spagnolo, l’arabo, la religione islamica. Fisicamente noi assistiamo a un gioco di traduzioni che non è semplicemente la traduzione da una lingua all’atra. E’ molto di più. Noi ci sforziamo di mettere in atto una traduzione. Noi ci troviamo di fronte, per citare un filosofo che mi è caro, ad una sorta di ospitalità linguistica. Noi abbiamo l’ospitalità linguistica sia perché si tratta di tradurre i contenuti di culture altre e sia oggi con Shahrzard abbiamo una sorta di ospitalità interreligiosa. Noi dobbiamo realizzare una relazione interreligiosa. Le teologhe latino americane lo stanno portando avanti in maniera esemplare, perché ci offrono dei contenuti che se a noi suonano anche tradizionali vengono tradotti in termini completamente diversi che ne danno anche la profondità. Ne abbiamo avuto un esempio adesso. Per esempio questo concetto di spiritualità a cui accennava Antonietta. Il concetto di spiritualità presente nel loro libro e, per quel poco che io ho letto, presente nelle teologhe latino americane, è un concetto molto diverso da quello male inteso che noi della cultura occidentale abbiamo, della spiritualità che si contrappone alla corporeità. Un malinteso platonismo e un malinteso cristianesimo. Quella di cui parla il libro e le teologhe latino americane è una spiritualità intesa come trasformazione del mondo, cioè come prassi. Io dico prassi politica intendendo politica nel senso autentico della parola, e quindi come prassi di trasformazione del mondo. La spiritualità di cui le teologhe latino americane sono portatrici è appunto, come diceva prima Antonietta, una spiritualità, intesa come azione trasformatrice, vogliamo dire anche rivoluzionaria? Non abbiamo paura delle parole: un’azione trasformatrice della società e quindi con uno sguardo all’eco femminismo, uno sguardo di attenzione e di cura per la terra, che io ho ritrovato in questo testo. Lasciamo riposare la terra. Questa cura per la terra che ha i suoi tempi di maturazione. Dalla cultura latino americana abbiamo da imparare veramente molto, perché questa è un’attenzione che dobbiamo recuperare, riattingere perché altrimenti ci troviamo in questi situazioni di disastro ambientale.

MASSIMO ORLANDI

Forse è il momento di alzare un po’ lo sguardo sull’attualità e di vedere questa donna del 2006 e il suo ruolo nella società. Ritrovo una frase di Giovanni Vannucci che diceva oltre 30 anni fa: la rinascita del femminismo è un fatto importante. E’ Dio che si risveglia attraverso la donna e che vuole una società più umana più aderente alla vita. Mi pare che ci sono tante situazioni in cui questo non avviene. Che cosa la donna latino americana, occidentale, dell’oriente può fare; quali energie può liberare per ampliare un po’ questo orizzonte omologante, soffocante, pesante che respiriamo.

ANTONIETTA POTENTE

Io credo che probabilmente la risposta stia in relazione con tempi differenti. Io sento che c’è un filo comune, e un filo non del 2006. La donna sempre, credo, ha fatto storia, ha tessuto storie in tutti i momenti, dalla preistoria fino ad oggi nei differenti ambiti religioso, politico, sociale, culturale. Il problema è non volere considerare questa storia. E noi donne abbiamo spinto perché ci dicessero: vi facciamo entrare. Adesso, per lo meno in America latina, abbiamo un’altra strategia che non è aspettare che ci invitino. E’ un po’ la strategia dei popoli indigeni che è la strategia di non chiedere permesso più a nessuno e prendere questa iniziativa che sempre hanno avuto. A me non piace che uno venga a dire: adesso ti do la parola. Quando ho qualcosa da dire, lo posso dire. E’ quindi una solidarietà delle donne tra loro per darsi o, come si dice anche nell’ambito del femminismo, ridarsi il potere. Cioè ce lo diamo tra di noi così come i popoli indigeni: le culture, le religioni non aspettano che il potere venga dall’alto, ma glielo danno le persone che veramente amano la vita, vogliono prendersi cura davvero della vita. E questo fa camminare la storia. Certamente il problema è degli altri che non vogliono riconoscerlo, però per noi questo è uno spazio certamente privilegiato. Credo che anche nell’esperienza di scrivere il libro insieme, quando parliamo di sintonia, è aiutarsi: io ti do il potere di scrivere e questo potere lo diamo ad altre persone, in questo caso donne e uomini, anche a quelli che non sanno scrivere e leggere. Per lo meno vedono la copertina con tutti i colori, che sono l’immagine della vita di tante donne in ogni parte del mondo. Possono dire: Che bello!” qui ci siamo anche noi. Credo che questo sia importante.

C’è poi il problema del riconoscimento e delle paure: io credo che gli uomini, più che non riconoscerci (adesso magari ci riconoscono troppo), abbiano paura, soprattutto negli ambiti del pensiero, della riflessione, nella vita quotidiana, pubblica, politica di tante culture e di tanti popoli. Però ci siamo sempre state. Noi ci siamo sempre state. Come ci sono sempre state le religioni. Non è che ce n’è una più in alto e una più in basso. C’è un Dio un po’ più interessante ed un altro meno. Ci sono sempre stati questi lineamenti di Dio così ecologico e così femminile e così multiculturale e così indigeno come adesso stiamo cercando. Credo in questa autorità: una persona che nessuno considera, mi può dire: scrivi e questo è uno scambio importantissimo. E’ bello che mi possa invitare in questa danza o a tessere.

GISELLE GÓMEZ

Finendo il libro, abbiamo pensato di non fare conclusioni. E non le abbiamo fatte perché vogliamo invitare a cercare, che ciascuno e ciascuna ricerchi il proprio cammino. Queste sono conclusioni.

Mentre facevi la domanda e Antonietta rispondeva ho pensato ad una canzone di un cantautore nicaraguese, Luis Enrique e che si chiama la negra Maria. E’ una canzone che scrive per sua madre e una parte della canzone dice: si alza, si mette il grembiule, si prepara a celebrare la messa nell’altare maggiore della cucina. Penso che questo sia il contributo che noi donne possiamo dare alla vita. E’ come dire no al dualismo. Ogni spazio è sacro. Ogni realtà è un luogo dove si manifesta, dove sta e ogni cosa ha l’anima, anche se la parola non mi piace molto per la tradizione neoplatonica. Però ha vita, ha armonia, ha desiderio e io credo che questo sia il contributo che noi possiamo dare alla vita.

SHAHRZARD HOUSMAND ZADEH

Siamo state presenti, come dice Antonietta. Adamo ha avuto accanto Eva. La parola Eva in arabo contiene la radice della vita. Come siamo state presenti! Solo una piccola nota, perché avete avuto altre notizie sulle donne musulmane, allora io vi dico quello che penso. Come donna musulmana non ho sentito molto l’esigenza del femminismo, perché, riferendomi al testo Cranico, non ho trovato difficoltà. Riferendomi alla storia del peccato di Adamo, vi sembrerà strano ma per me la prima mistica è stata Eva. Il Corano così racconta la storia: Dio dà la libertà a questi due, Adamo ed Eva, di girare nel giardino e proibisce di mangiare il frutto di un albero. Questo è il racconto che si trova anche nel Corano, ma con una differenza. Stanno bene in armonia, in unità e pace. Trovano tutto quello che vogliono, ma a un certo momento è Adamo che sceglie di andare verso l’albero proibito. Non è Eva nel Corano. Adamo va e decide in libertà e coraggio, avendo avuto Eva accanto ritrova libertà e coraggio anche di peccare e andare verso l’albero proibito. Adamo va verso l’albero; Adamo pecca ed il Corano dice: anche Eva mangia. E’ strano, ma Eva mangia insieme al suo amato. Dopo il Corano dice che Adamo ha dovuto essere perdonato. Qui non nomina di nuovo Eva, perché Eva non ha avuto bisogno del perdono, ma solo misticamente si è fatta così uno con il suo amato, che è andata insieme a lui: ha fatto unità anche qui con Adamo e poi è scesa sulla terra, ha lasciato il Paradiso, con lui. Io vedo già la mistica in Eva e non ho difficoltà di pensare che il peccato è entrato con il lavoro di una donna. Nel mio testo questo non c’è. Poi sono ancora presenti e come, le donne. Perché il profeta Muhammad, se non avesse avuto due donne accanto, lo dico cn coraggio, non sarebbe mai arrivato dove è arrivato. Due figure come Khadija che è stata la moglie, ma che non ha solo protetto e aiutato, ma ha creduto in lui prima che fosse stato scelto. Khadija ha creduto in lui quando aveva solo 25 anni e si è innamorata di lui e l’ha scelto come sposo, avendo 15 anni più di lui. Ma ha creduto in tutti questi passaggi difficili della vita del profeta, non solo dopo, ma prima della sua elezione. Un aiuto essenziale e poi anche Fatima, la figlia, che addirittura viene nominata la madre di suo padre. E per il cristianesimo: Gesù figlio di Maria. Quasi sempre il Corano dice: Gesù figlio di Maria. Allora le donne sono presenti e come!. Solo che il mondo non gira come dovrebbe. L’esegesi dei testi e l’interpretazione è stata spesso nelle mani degli uomini. Ma noi, come dice Antonietta, con coraggio quando abbiamo da dire qualcosa la diciamo per testimoniare non una lotta, ma una pace che richiede il ritorno alla sincerità ed alla verità.

MASSIMO ORLANDI

Se ci sono delle domande…La qualità dell’ascolto testimonia che avete ascoltato con piacere e con attenzione e spero anche con gioia.

Intervento

Bueno. Buona sera. Sono Maria Maddalena e vengo dall’Honduras, sono indigena dal nord dell’Honduras. Stando qui alla presentazione di questo libro mi sembra tornare a vivere o forse di continuare a vivere e di poter continuare il mio cammino: perché per noi donne indigene la vita è molto importante e noi stesse siamo le datrici e le portatrici di vita fin da quando nel nostro ventre teniamo un figlio e quando lo allattiamo. Anche pensando a tutte queste donne che per più di duemila anni scrivono questi libri significa ritrovare forza, specialmente per me stessa, perché vengo in Honduras da una lotta molto forte e sono di quelle donne che corrono con i lupi. E tutto per la difesa della nostra Terra, della nostra madre Terra. E la difesa della vita umana perché il nostro popolo indigeno è assassinato per la difesa dei nostri diritti. Non so se c’è il tempo che posso permettere di mostrare la mia inquietudine, le mie ispirazioni. Il libro ripercorre gran parte delle culture latino americane e mi piacerebbe che potesse essere socializzato nelle nostre comunità indigene dove ci sono tante donne sognatrici, ansiose di seguire una lotta equilibrata, di essere ascoltate. Nel nostro Paese il Governo ha molta paura del femminismo, della lotta delle donne, che passo a passo le donne portano avanti. Non so perché sono qui, ma c’è un motivo, per la repressione e tutta la violenza che sta soffrendo il nostro popolo nel nord d’Honduras ed in particolare la mia famiglia. E’ una storia molto lunga e triste e desidero condividerla. Sto qui perché sono una donna che dall’età di 12 anni, ora ho 39 anni, lavora per il suo popolo e per i 9 popoli indigeni dell’Honduras. Ora sono molto perseguitata e minacciata da quelli che occupano la nostra terra e sono qui in Italia per richiedere asilo politico. Ora ho un appuntamento per un secondo colloquio con la Commissione che mi farà domande e esaminerà i documenti. Ho grande speranza. Sono molto inquieta e spero che il libro mi ispiri molto perché negli ultimi giorni sono stata depressa. Ma il libro è stato come un analgesico, una pomata che mi fa tornare a respirare a tornare alla vita. Sento che sto lottando non per me stessa, ma per gli altri, per molti bambini ed anziani e per tutta una cultura millenaria che dopo la conquista spagnola è sopravvissuta per più di cinquecento anni e abbiamo bisogno di spazi per continuare a vivere.

Intervento

Io volevo tornare al libro. Non conoscevo Teresa, poco Caterina. Io vengo da un’altra tradizione religiosa, sono una buddista. Dal momento che mi sono sentita interpellata come donna ad entrare in questo circolo donne, mi chiedo come posso riempire le righe bianche, le pagine bianche che avete lasciato nel libro.

MASSIMO ORLANDI

Grazie Marina, mi sembra il modo migliore per completare questa serata senza chiuderla.

ANTONIETTA POTENTE

L’intervento di Maria non è certo estraneo al libro. Noi che viviamo in America latina conosciamo queste situazioni. Non significa passare ad altro tema. Il libro può essere una consolazione per donne che davvero si alzano a volte con depressione, perché davvero non sanno trovare soluzioni ai loro problemi.

Per rispondere a Marina io credo che anche il femminismo è un’esperienza del sacro, e la vita è un’esperienza sacra e sentire che ci sono delle donne che chiedono di aprire gli spazi circolari per salvarsi è un’esperienza sacra. Così come ci sono dei popoli che devono aprirsi per salvare la loro vita. Che piaccia o non piaccia ai loro Governi, queste emigrazioni forzate aprono spazi sacri. Questo sarà il circolo. Noi lasciamo le pagine in bianco non per errore, ma perché vorremmo che queste cose circolassero. Ma non devono circolare solo le idee. In certi ambienti prima circolano le idee e poi si aprono gli spazi, invece prima deve circolare la vita, i diritti, la possibilità di creare spazi alternativi, punti di incontro dove non solo Dio non ingombra, ma anche gli altri non occupano tutto lo spazio di Dio perché per fortuna come ci ricordava la nostra amica, Dio è sempre molto più grande. Io credo che bisogna cambiare.

GISELLE GÓMEZ

Quando ascoltavo Maria non potevo impedirmi di pensare che altre persone che conosco allargano il circolo Penso che serva la solidarietà. Penso alle donne del mio paese, dove ci sono guerre, uragani, terremoti; quando muore una mamma con sei figli, la vicina prende cura dei sei figli Io credo che il femminismo sia un’esperienza sacra perché nella ricerca di un altro mondo possibile incontriamo la stessa luce, lo stesso desiderio, gli stessi sogni che ha Dio.

MASSIMO ORLANDI

Vorrei ringraziare le nostre relatrici dedicando una frase di una religiosa, di sorella Maria di Campello, che da un piccolo convento sperduto nell’Umbria corrispondeva con Gandhi. Una bellissima figura di donna che sapeva dialogare con la natura e con le persone senza guardare alle loro provenienze religiose: ogni donna degna di questo nome deve sempre esprimere armonia, deve saper trovare la parola che giunge al cuore